L’astrofisica e manager spaziale Simonetta di Pippo dirige dal 2014 l’Ufficio per gli affari spaziali dell’Onu (Unoosa) con sede a Vienna. Lo scopo dell’Unoosa è quello di promuovere la cooperazione internazionale e l’uso pacifico dello spazio, e fra le preoccupazioni di questo organismo c’è anche quella per i rifiuti spaziali. Prima dell’incarico di “astrodiplomatica”, è stata direttrice del volo spaziale umano dell’Agenzia spaziale europea. Le abbiamo chiesto di aiutarci a capire come stanno lavorando i paesi del mondo per affrontare questo problema comune.

 

“All’Unoosa lavoriamo per i due principali organismi internazionali che si occupano di questi problemi: l’Assemblea generale dell’Onu e il suo Comitato per l’uso pacifico dello spazio, che è formato da ben 87 stati, una delle più grandi. È in questa sede che si discute della sostenibilità a lungo termine dell’esplorazione spaziale e anche dei detriti spaziali”.

 

È difficile far lavorare assieme tanti paesi diversi per raggiungere un obiettivo comune?

Sul nostro sito ospitiamo un compendio degli standard adottati dai vari stati per ridurre i rifiuti e i danni che possono causare. Inoltre è già dagli albori dell’era spaziale, nel 1962, che l’Onu mantiene un registro di tutto quello che viene lanciato nello spazio. Questo è diventato oggetto di una convenzione specifica nel 1976: grazie a questo accordo internazionale, oggi più del 90% dei satelliti artificiali e manufatti umani per lo spazio lanciati in orbita attorno alla terra o oltre è adeguatamente registrato. Nel 2017 abbiamo inserito nel registro ben 489 satelliti, contro i circa 280 dell’anno precedente. Con l’avvento della megacostellazioni, ognuna delle quali sarà costituita da migliaia di satelliti, il numero di oggetti lanciati per anno aumenterà drasticamente.

 

L’Unoosa ha un potere di costringere gli stati a seguire dei protocolli?

No, non disponiamo di potere coercitivo. Ma c’è una generale tendenza al rispetto dei trattati e delle linee guida. Il Comitato prende ogni sua decisione sulla base del consenso, e gli stati membri sono attenti a rispettare le loro stesse decisioni.

 

Il contributo dei diversi stati del mondo alla produzione dei rifiuti è diverso.

Come vocazione, e missione, rivolgiamo la nostra attenzione soprattutto ai paesi in via di sviluppo ed emergenti. È vero che la produzione di rifiuti è maggiore da parte dei paesi più avanzati dal punto di vista delle capacità spaziali, ma è anche vero che sono proprio questi stessi paesi che consentono ai paesi in via di sviluppo di beneficiare delle loro infrastrutture spaziali. Lo spazio è un bene comune, e non necessariamente occorre dover lanciare un satellite in orbita per beneficiarne. Pensiamo ai satelliti per l’osservazione della terra, utili nei casi di disastri o aiuti umanitari, o ai sistemi di navigazione satellitare. Il problema dei detriti è un problema collettivo e come tale viene affrontato.

Dal suo osservatorio crede che l’approccio alla questione dei rifiuti spaziali è cambiato negli ultimi anni?

Senza dubbio l’attenzione verso questo problema si mantiene elevata. Gli stati membri del Comitato stanno lavorando alla finalizzazione di un compendio di linee guida, che speriamo sia approvato entro giugno di quest’anno, per sottoporlo poi alla Assemblea generale delle Nazioni unite su diversi temi, comprese le questioni legate ai rifiuti spaziali. In questo senso, il registro degli oggetti lanciati nello spazio è un ottimo strumento di diplomazia spaziale: aumenta la trasparenza e la fiducia tra gli stati sulle rispettive attività spaziali e i loro impatti.

 

Lei è stata responsabile per l’Agenzia spaziale europea della Stazione spaziale internazionale. La questione dei rifiuti spaziali ha un effetto sulla vita degli astronauti?

Sì. Oggi come oggi, gli astronauti, come misura d’emergenza, devono rifugiarsi molte volte all’interno di una delle capsule russe Soyuz nel caso di una situazione di rischio legata al possibile impatto di un detrito spaziale. Devono rimanerci fino a quando il pericolo è passato. In questo modo sono pronti nel caso si debba evacuare rapidamente la Stazione. E purtroppo questa situazione si verifica sempre più frequentemente.

 

Qual è la sua impressione personale: riusciremo davvero a risolvere il problema o possiamo al massimo sperare di contenerlo?
Bisogna operare su due fronti: da un lato, capire come risolvere il problema attuale, quindi come liberarci della spazzatura spaziale che al momento congestiona alcune delle orbite più interessanti soprattutto in orbita bassa. Dall’altro, occorre rapidamente finalizzare le linee guida per la riduzione dei detriti per i programmi futuri. Non credo che si possa però veramente risolvere il problema senza un organismo internazionale, come Unoosa, che sia investito del ruolo di monitorare la situazione. Pur rimanendo la responsabilità a carico degli stati, il monitoraggio e la messa a disposizione pubblica dei dati è misura indispensabile per assicurare un futuro sostenibile, sulla terra e soprattutto, nello spazio.