In Ecuador è stato dichiarato lo stato di emergenza come previsto negli art. 164, 165 e 166 della Costituzione che riconosce al presidente della Repubblica il potere di decretare la massima allerta in tutto o in parte del territorio nazionale, in caso di grave crisi interna o calamità pubblica.

Con il decreto esecutivo si dispone la mobilitazione delle forze armate in 9 regioni del paese con la collaborazione stretta della polizia nazionale per i prossimi due mesi.

Nel resto delle regioni si dispone che la polizia aumenti controllo e vigilanza. La collaborazione tra forze armate e la polizia viene ratificata, inoltre, dalla Corte Costituzionale con sentenza n°33-20-IN/21.

Secondo il discorso ufficiale del presidente Lasso, le misure eccezionali – già attive dal 18 ottobre – sono state adottate a causa dell’incremento di delitti in tutto il territorio nazionale, in particolare del tasso di omicidi intenzionali (10,62 per ogni 100mila abitanti). Secondo i dati della polizia, nel 2016 il tasso era del 5,81.

Dopo solo cinque mesi di governo, per il neo presidente Lasso le grane sembrano non finire mai. Negli ultimi mesi si registra una serie di flop politici e scandali che vedono il primo mandatario dell’Ecuador in caduta di consensi e in modo vertiginoso.

Fino allo scorso agosto, Lasso registrava un consenso popolare che andava oltre il 70%; secondo gli ultimi sondaggi si registra un calo tra il 10% (Cedatos) e il 30% (Perfiles de Opinión).

Quattro fatti hanno eroso la sua alta popolarità: il primo è la bocciatura del progetto di legge «Creando opportunità» che non ha avuto l’appoggio dell’Assemblea nazionale. Il Consiglio d’amministrazione legislativa ha rinviato al mittente la legge per chiari vizi d’incostituzionalità.

Da ricordare che il partito Creo e i suoi alleati in parlamento hanno un’esigua pattuglia di parlamentari (26 su 130): per le riforme e le proposte di legge si dovrà sempre negoziare con le opposizioni, qualora ne avessero l’intenzione.

Al momento sembra non ci sia nessun margine di concertazione con Unes (49 parlamentari), Pachakutik (27), Izquierda Democratica (19) e Partito Social Cristiano (17). Nel parlamento ecuadoregno ci vogliono almeno 70 voti per l’approvazione di una legge.

Il secondo fattore è le continue crisi delle carceri a febbraio, luglio e settembre che hanno già provocato un bagno di sangue nel paese con quasi 250 morti nel 2021 (170 nel periodo di gestione Lasso, + 120 rispetto al 2020) tra i detenuti dei principali penitenziari del paese (Guayaquil, Latacunga e Quito).

Il terzo è lo scandalo «Pandora Papers»: Lasso, insieme al presidente cileno Piñera e al domenicano Abinader, sarebbe coinvolto in un occultamento di capitali verso alcune società off-shore. Secondo il Consorzio internazionale di Giornalisti di Ricerca, Lasso avrebbe avuto legami con 10 compagnie off-shore e fidocommissioni a Panama, Dakota del sud e Delaware.

Infine, le proteste, cresciute nelle ultime settimane, che hanno visto protagonisti gli agricoltori della regione del Guayas (nella costa sud), gli agricoltori, i lavoratori e i docenti della regione del Carchi e d’Imbabura (nella cordigliera nord) e i movimenti indigeni in molte regioni del paese e che hanno bloccato molte arterie del paese.

Tra i principali oppositori al governo Lasso c’è il presidente della Conaie (Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador), Leonidas Iza: ha dichiarato che lo stato di emergenza ha altre finalità oltre alla sicurezza.

In un’intervista a Radio Sonorama il leader indigeno ha segnalato che queste misure sono messe in atto per contrastare le manifestazioni previste per il prossimo 26 ottobre. E ha reiterato la ferma volontà del movimento indigeno di continuare lo sciopero per la mancanza di dialogo da parte del governo in merito all’aumento incontrollato del prezzo della benzina (+ 20% negli ultimi 4 mesi).

Intanto la militarizzazione del territorio, iniziata a fine luglio con la crisi carceraria, si protrae per altri due mesi. Le organizzazioni sociali e i settori dei lavoratori hanno già dichiarato di non essere d’accordo con le misure restrittive del governo. Il neoliberismo mostra i suoi denti affilati.