«Capiamo l’esigenza di porre la fiducia ma, da forza politica d’opposizione, abbiamo deciso di non partecipare alle fiducie. Diremo invece sì con convinzione, in modo compatto e leale, al voto finale». Più di questo, Silvio Berlusconi non poteva dire. Lui, per la verità, si sarebbe spinto oltre, sino a concedere una «fiducia di scopo» sulla legge elettorale. È stato il Pd, oltre che il suo capogruppo Brunetta, a fermarlo. Il soccorso azzurro non è necessario. E neppure gradito.

Il comunicato cancella ogni timore anche per il passaggio del Rosatellum al Senato. Senza Fi in aula, il governo metterà senza angoscia la fiducia invece di dover percorrere la via crucis degli emendamenti, pericolosi anche senza voti segreti. Strada in discesa, dunque, tanto più che la Lega assume la stessa posizione. Giorgetti, pur «non potendo votare la fiducia», comprende «le motivazioni del governo». Parole che preludono all’uscita dall’aula.

Resta un solo scoglio da superare. Alla Camera, a differenza del Senato, la fiducia non assorbe il provvedimento, che dovrà passare dopo le fiducie col voto segreto. Renzi ha deciso di forzare la mano proprio per paura di brutte sorprese su qualche emendamento dagli spalti azzurri, e proprio per rassicurare il Pd Berlusconi ha preferito quasi esagerare in garanzie. Che nelle file di Fi ci sia un dissenso serpeggiante è certo. Gianni Letta martella da giorni il capo, che per una volta ha scelto di non ascoltarlo, per dimostrargli che le regole di Renzi sono una trappola e che a trarne vantaggio sarà solo Matteo Salvini. Al nord farà il pieno nella quota maggioritaria e anche quando sarà costretto a candidare un esponente forzista insisterà perché sia un nome gradito alla base leghista, dunque uno di quegli azzurri alla Toti, col cuore più a Pontida che non ad Arcore.

Quelle argomentazioni sono condivise da un certo numero di parlamentari, senza contare il panico nelle truppe del sud che temono l’ecatombe. Ma, come assicura la controparte, il capogruppo del Pd Rosato, quei mal di pancia non sono organizzati. Potevano impensierire in una raffica di voti segreti, non quando tutto si risolve in una botta sola. Un passaggio che potrebbe rivelarsi minaccioso solo se, nell’ombra, fosse proprio Berlusconi a tirarsi indietro, e non accadrà.

L’ex Cavaliere si è convinto, sia pur con qualche titubanza residua. Un po’ per la pressione massiccia di tutta la sua corte a eccezione di Letta, un po’ perché si sente già in maggioranza, avvinghiato al Pd. Proprio ieri al Senato, nel voto sulla legge europea, la maggioranza si è salvata, dopo essere andata sotto due volte, perché Fi e i verdiniani di Ala, dopo aver annunciato l’astensione che a palazzo Madama equivale a voto contrario, hanno ripiegato sull’uscita dall’aula.

Resta un punto in sospeso. Berlusconi spera ancora in un verdetto a lui favorevole da Strasburgo. L’impatto sarebbe incalcolabile ed ecco perché, nel comunicato di ieri, il ricorrente di fronte alla Corte europea specifica che la legislatura deve arrivare a scadenza naturale. Ma Renzi è consapevole del pericolo e ha già pronta la contromossa: martedì, in conferenza dei capigruppo, il Pd dovrebbe chiedere di calendarizzare lo Ius Soli, ribattezzato Ius Culturae, a ridosso del voto sul Rosatellum, col governo pronto a porre anche lì la fiducia. Risolta la spinosa faccenda nulla più ostacolerebbe lo scioglimento delle camere subito dopo l’approvazione della legge di bilancio. Per le elezioni, Renzi ha in mente due date: 4 e 13 marzo. Comunque prima che Strasburgo si esprima.