Un libro e due film per ricordare la fine dell’assedio di Sarajevo (dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996): L’Assedio Gente di Sarajevo di Giancarlo Bocchi (IMP, libro e dvd 20 euro), con un secondo documentario negli extra Diario di un assedio con testimonianze inedite di giornalisti italiani. L’Assedio ci riporta indietro nel tempo: ascoltiamo dalla viva voce dei protagonisti, gente comune, gli episodi drammatici di quei giorni. I racconti nel libro ne approfondiscono le storie e tra questi pubblichiamo un estratto di Quando sparì anche il numero 9 che sembra scritto con quell’humour nero bosniaco, capace fin dall’inizio della guerra di comunicare il lato assurdo delle vicende. Giancarlo Bocchi che è praticamente vissuto all’interno del conflitto e oltre questo libro e dvd ha girato anche i documentari Morte di un pacifista, Il ponte di Sarajevo e il film Nemaproblema, ricorda nelle sue note di regia che la Bosnia è diventata secondo l’Onu uno dei venti paesi più poveri del mondo con almeno settemila criminali di guerra non ancora inquisiti e attentati di matrice jihadista provocati dagli uomini che hanno provocato il conflitto e dalla criminalità organizzata. Sviluppa nel film un racconto in un bianco e nero ora livido ora lampeggiante, punteggiato dal sonoro dei colpi a ripetizione dei kalashikov e il sibilo improvviso della Sijac smrti, la seminatrice di morte, la mitragliatrice jugoslava: sono sedici episodi, il racconto di gente che non sapeva più cosa significava una vita normale e il cui unico scopo era quello di non farsi colpire. Eppure nel centro della città si continua d andare al mercato, ci si procura l’acqua dall’acquaiolo, un mestiere che sembrava scomparso ed invece è stata l’unica risorsa per vivere di un pensionato. Sarajevo come un campo di concentramento? È ben diverso, afferma l’anziana donna che di guerre ne ha vissute due (troppe per una vita sola) già sopravvissuta ad Auschwitz: lì, dice, eravamo dei numeri, qui veniamo cacciati come selvaggina nelle riserve. Nella città i bambini giocano tutto il tempo nelle rovine della «Biblioteca Nazionale della Bosnia ed Herzegovina», diventata maceria, bombardata per tre giorni, solo un decimo deilibri messi in salvo. Entriamo negli studi di Radio Studio 99, la celebre radio indipendente dopo aver attraversato un giardinetto spoglio e sceso una rampa di scale. La gente chiama, vuole raccontare come immagina il futuro, come pensano diventerà la loro città che era così multiculturale, multietnica, una volta che la guerra finirà. Seida, quarantenne musulmana, abitava con la famiglia a Pale diventata la capitale della Republika Srpska di Bosnia, ha fatto uno scambio di abitazione con un serbo ed è andata a vivere a Sarajevo, un patto tra gente mai entrata in guerra. Il piccolo rom che vive sulla collina di Gorica, può vedere tutto, raccontare che lì sotto abitava uno ricco «cantante» andato via «fanculo a lui» (si trattava di Kusturica), non riuscire a capire perché anche se lancia pesanti offese ai cecchini alle loro madri e sorelle, comunque non succede niente, mentre loro possono continuare a sparare. E seguiamo il tunnel che ha salvato Sarajevo, costruito a mano fino alla pista dell’aeroporto e che ha permesso di spostarsi e avere approvigionamenti. E ancora più avanti la famiglia che vive a cento metri dalla caserma dei cetnici: «Sono passati quattro anni ma abbiamo resistito, dice il capofamiglia, se la guerra fosse durata altri quattro anni saremmo rimasti nella nostra casa».