L’odierna pandemia ha richiamato l’attenzione anche del grande pubblico sulla didattica a distanza, designata come Dad, uno dei tanti ormai insopportabili acronimi la cui diffusione, anch’essa spaventosamente epidemica, va di pari passo con il dilagare del gergo anglo-tecnologico-informatico (in cui la lingua di Shakespeare è umiliata non meno del pensiero di Wiener) connaturato all’utilizzo dei computer, strumento principe, appunto, della Dad: in effetti, già si sta sostenendo che il loro impiego forzato potrebbe essere l’occasione per introdurre innovazioni metodologiche che renderanno più moderno e più efficiente l’insegnamento, anche quando cesserà lo stato d’assedio sanitario.

CHE IL RISCHIO, purtroppo, sia proprio quello è denunciato da La scuola della merce e le esigenze della libera individualità (edizioni petite plaisance, pp. 75, euro 10), uno studio di Claudio Lucchini che dimostra come l’introduzione della tecnologia digitale nella scuola miri a una formazione funzionale all’organizzazione produttiva che ha sostituito il vecchio fordismo, ereditandone l’anima: il risultato auspicato è un lavoratore che certamente non è più inchiodato alla catena di montaggio, ma che è tanto più in grado di riciclarsi a seconda della necessità produttive, e quindi tanto più asservito agli imperativi della produzione stessa. E ciò a discapito di una formazione individuale, libera da esigenze economiche, che rendesse, per esempio, l’allievo capace, oltre che di padroneggiare i codici digitali, anche di leggere un libro (non necessariamente su carta), di capirlo e di goderne; e capace, insomma, di maturare una visione critica di se stesso e della società in cui vive.

LUCCHINI che ha dedicato numerosi lavori a questioni etiche affrontandole nel solco aperto dall’ultimo Lukàcs, ha collaborato a lungo con Mario Cingoli (Milano-Bicocca), ma insegna anche da molti anni nelle medie superiori: nel volumetto fa tesoro della sua esperienza sul campo e degli studi dei pedagogisti che denunciano da tempo i guasti della scuola italiana, per inquadrare la questione in una prospettiva morale di ampio respiro, che propone la stessa struttura onto-assiologica volta alla liberazione dell’uomo come il modello ispiratore tanto del progetto educativo quanto di quello politico-sociale.

NON SI TRATTA di difendere la tradizione o di rimpiangere la vecchia didattica, e nemmeno di rifiutare l’apporto dell’informatica, ma solo di rivendicare il diritto-dovere della scuola di non essere al traino e al servizio delle esigenze produttive, e di non diventare la cinghia di trasmissione della cultura dominante alle nuove generazioni: cioè il diritto-dovere della scuola di promuovere la formazione di un «uomo onnilaterale», una libera individualità capace «di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige» (Gramsci). Che è infine il nocciolo forte della rivoluzione pedagogica roussoviana.