«Dovremo ripassare il russo, forse imparare il cinese o il turco, chi lo sa!». A Kabul si sdrammatizza, ma si vive la situazione più incerta degli ultimi vent’anni. I Talebani sono all’offensiva, la violenza aumenta, il negoziato è in stallo, le truppe straniere si ritirano, sulla carta entro l’11 settembre, forse già per il 4 luglio. Obiettivo prioritario, per Washington, ora è la sicurezza dell’aeroporto Hamid Karzai della capitale, per l’eventuale evacuazione del personale diplomatico, nel caso che i Talebani cercassero di arrivare qui con le armi.

GIOVEDÌ SCORSO JAKE SULLIVAN, consigliere Usa per la sicurezza nazionale, ha detto che il 14 giugno il presidente Joe Biden e l’omologo turco Recep Tayyp Erdogan hanno trovato un’intesa a margine del vertice della Nato di Bruxelles: Ankara continuerà a garantire la sicurezza dell’aeroporto. Spera di allargare l’influenza nell’area e in Afghanistan, dove mantiene buoni rapporti con il maresciallo ed ex warlord Abdul Rashid Dostum, con Abdullah Abdullah, a capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale, con Salahuddin Rabbani del Jamiat-e-Islami. Meno con il presidente Ashraf Ghani.

 

Abdullah Abdullah, capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale dell’Afghanistan, ieri a margine del forum diplomatico di Antalya, in Turchia (Ap)

 

La Turchia chiede sostegno finanziario a Washington e sembra puntare su un alleggerimento delle pressioni americane sull’acquisto di armi dalla Russia.

STA A GUARDARE PER ORA il governo di Kabul, grande escluso dalle decisioni che riguardano il Paese, come già avvenuto per l’accordo bilaterale tra gli Stati Uniti e i Talebani che ha condotto al ritiro. Un portavoce della guerriglia ha già detto di aspettarsi il ritiro anche dei soldati turchi. Una posizione che potrebbe cambiare nei prossimi mesi, quando i Talebani avranno maggiore bisogno del riconoscimento internazionale. Per ora, continuano l’offensiva.

A Dawlatabad, un distretto nella provincia nord-occidentale di Faryab, mercoledi hanno teso un’imboscata alle forze speciali afghane, l’elite militare. Sono ventinove le vittime certe, 5 tra poliziotti e militari, 24 membri delle forze speciali. Tra loro il maggiore Sohrab Azimi, figlio di un generale. Educato in parte negli Stati uniti, una sorella giornalista a Voice of America, era un ufficiale istruito e conosciuto. L’imboscata è clamorosa. Il messaggio è forte. Arriva in ogni angolo di un Paese confuso, incerto su quel che avverrà, con i contagi per Covid cresciuti in un mese del 2.400%, con un sistema sanitario fragilissimo e 18 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria. Con la violenza in aumento.

MA «NON È TUTTA COLPA dei Talebani», sostiene il ministro degli Esteri del Pakistan, Shah Mahmood Qureshi, intervistato dalla rete afghana Tolonews. Per Qureshi la violenza è di chi vuole restare aggrappato al potere a Kabul. L’India «usa il suolo afghano per azioni contro di noi». Quanto ai leader Talebani – Haibatullah Akhundzada, mullah Yaqub e Sirajuddin Haqqani – «non ne sappiamo niente, chiedete al governo afghano». La guerra continua.