Dal Moderno Principe si precipita al postmoderno principiante. Con un debole verso padre Pio, campione delle libere terapie stamina e, soprattutto, con buone entrature nelle società pubbliche e private, Conte si presenta come l’avvocato del popolo. Con i miscugli di un giacobinismo devoto, la fabbrica del marketing propone l’anonimo presidente per disegnare la sintesi dei due populismi antisistema. Grazie allo scettro seduttivo del potere, i vincitori sperano di lucrare il tradizionale trasformismo dei ceti dirigenti di un paese invertebrato già in fila per salire sul carro del governo del cambiamento.

Il contratto giallo-verde segna la conclusione della crisi repubblicana in una direzione conservatrice, con il leader più forte che esibisce il giubbotto di casa Pound e il non-partito azienda che affida la sua volontà di afferrare immediate spoglie al premier esecutore privo di potenza. Il populismo è nient’altro che una manifestazione speculare al trasformismo e quindi un grido di protesta ingannevole che aiuta il mantenimento delle antiche gerarchie del potere. Un premier senza storia rientra alla perfezione nel catalogo di costruttori di storie da vendere a un elettorato così mal ridotto che ormai consuma solo chiacchiere.

Quando, in una stessa compagine di governo, si intrecciano residui di radicalismi di sinistra e eredità di una antipolitica conservatrice, slanci per i diritti negati e i rancori della destra, il secessionismo del nord e il disagio meridionale, i nuovi linguaggi digitali giovanili e gli incubi senili di tipo securitario, la cantante di Clandestino e quella di finché la barca va, il segretario nazionale della Fiom e i padroncini, qualcosa di profondo si è consumato. La seconda lunga crisi dei vent’anni trova un suo equilibrio nel solco di altre fasi critiche della storia italiana.

La prima crisi lunga fu quella d’inizio ‘900, anch’essa contrassegnata dal giovanilismo, dall’antipolitica spacciata dalle riviste più influenti, dalla mentalità antipartito e conclusa con il capo carismatico. La lunga crisi della seconda repubblica segue lo stesso canovaccio ma approda a una democrazia minima con l’alleanza tra la rete e la ruspa, l’immateriale cyber spazio e il materiale territorio un tempo solo padano. Il marketing di nuova generazione che ha vinto rappresentando il rancore dal basso inventa un governo acefalo, con un premier senza qualità che con il suo nullismo servizievole spezza la forma di governo parlamentare.

La saldatura delle due formazioni antisistema accompagna l’assalto a punti nodali della costituzione: regime fiscale progressivo, rappresentanza politica, profilo della linea di comando interna ai non-partiti, sordità rispetto allo Stato di diritto e ai diritti individuali, garantismo penale, ostilità ai soggetti del pluralismo per completare la disintermediazione, aggressione verso i doveri di solidarietà sociale, sfida ai vincoli di bilancio e alla coesione territoriale. La sinistra sociale ha ceduto di schianto (30 iscritti al sindacato su 100 hanno votato Grillo), perché non esiste una sinistra sociale senza una cultura politica. La confusione è così grande, nella mitica società civile e tra i suoi chierici, che persino i presidenti di associazioni nate a difesa della costituzione hanno votato per un non-partito che propugna il ritrovato illiberale del mandato imperativo.

Agitando la bandiera dell’antipolitica, i miti dell’iperdemocrazia e i simboli della sicurezza, gli appetiti neopadronali delle reti aziendali della Lega e della Casaleggio hanno conquistato lo Stato e sognano la “pace fiscale” per consolidare il consenso più facile. Con il contratto di governo giunge a conclusione a un processo degenerativo di marca illiberale e dai connotati antisociali. Il governo sta gettando le fondamenta di una diversa forma della politica dell’inganno, con un nuovo sistema di potere la cui solidità e durata sono imprevedibili.

Per una coalizione post-politica, la capacità di contenere le contraddizioni (la Lega degli scandali e il movimento giustizialista che mobilita al grido di onestà) è nell’immediato un punto di forza, non di debolezza. La contraddizione è, almeno per un certo tempo, il lievito di formazioni che proclamano di trascendere destra e sinistra. Tutto pare capovolto e quindi ospitare il contrario paga. Gli operai di Taranto hanno votato per chi chiedeva la chiusura della loro fabbrica. I pensionati hanno scelto la ruspa del leader liberista (all’interno, e protezionista contro le merci cinesi) che con lo Stato minimo abolirà ogni tutela e bene pubblico. Il sud ha votato in maniera plebiscitaria per un non-partito a direzione microaziendale, interessato a occupare l’amministrazione per riscuotere tutto e subito, che cede il mandato ricevuto dai disperati senza lavoro alla sovranità del vento del nord che reclama meno Stato (sociale e più Stato penale).

Le ragioni occulte che hanno spinto all’alleanza forze che in apparenza sono agli antipodi diventano più trasparenti se si penetra nella convergenza di interessi che concorda una occupazione celere dei rami dello Stato per siglare varianti di condoni (in un paese che vanta un’evasione pari al 13 per cento del Pil), per garantire il paradiso ai redditi da capitale, per spremere vantaggi competitivi dal controllo dell’amministrazione. È grande il rischio della stabilizzazione di una democrazia illiberale, che con una logica populista rinvigorisce il disegno ostile alla rappresentanza.

L’articolo 67, contro cui il M5S si scaglia, è una autentica disposizione fondativa. Oltre che indicare la genesi storica dell’ordinamento nella vicenda dell’antifascismo, racchiude una valenza di sistema in quanto non può essere scalfito il principio della indipendenza del mandato senza distruggere l’impianto valoriale che sorregge il disegno della costituzione repubblicana. Il partito azienda, il comitato d’affari della piccola borghesia toscana, la rete imprenditoriale diffusa del nord est produttivo, la micro-azienda informatica, sono già i depositari delle chiavi della costituzione materiale dei partiti. Il M5S vorrebbe perfezionare la privatizzazione della rappresentanza politica.

E però il quadro non è granitico e immobilista. Con la magia dello storytelling, i microproprietari del M5S vorrebbero trasformare un presidente ignoto in un depositario del consenso dell’elettore pigro alla ricerca di difensori disponibili al gratuito patrocinio. Solo l’iniziativa politica può ridestare un’opinione pubblica stordita dalla narcotizzazione delle favole inventate ad arte dal giacobinismo dei ricchi che sfruttano il sentimento della rabbia.

Dall’opposizione è necessario riaprire uno spazio di mobilitazione ideale per un polo alternativo di resistenza democratica e di classe.