A Kinshasa la notte tra il 16 e il 17 maggio si è portata via in un attimo gli strascichi del giorno che si era appena concluso, con il fresco insediamento del nuovo governo e le relative proteste dell’opposizione.

TUTTO OSCURATO – anche la perdurante instabilità del nord est, anche i 500 morti contati da marzo a oggi nelle violenze che insanguinano il Kasai centrale e persino i tre nuovi casi di Ebola registrati nelle ultime ore nel paese – dal clamoroso attacco armato condotto contro il carcere di Makala, il più grande della capitale. Un gesto che il governo attribuisce ai seguaci di Muanda Nsemi, dal momento che è lui – deputato nazionale e storico leader della “setta” politico-religiosa Bundu Dia Kongo (Bdk) – il prigioniero eccellente tra le decine che hanno approfittato della confusione per darsi alla fuga (pare 50, tutti suoi affiliati).

ALEXIS THAMBWE MWAMBA, il ministro della Giustizia, che è stato riconfermato tal quale nel nuovo governo, ha riferito che nell’attacco è rimasto gravemente ferito il capo della sicurezza del penitenziario. E che da un primo censimento risulta che gli altri detenuti «emblematici» di Makala sono tutti nelle loro celle. I miliziani erano pesantemente armati e dopo il blitz hanno dato fuoco all’ufficio del direttore e al parco macchine del carcere.

 

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Muanda Nsemi

Si arricchiscono così di un nuovo capitolo le “avventure” di Ne Muanda Nsemi contro Kabila. Lui si atteggia a profeta cristiano dal 1969, quando un arcangelo gli avrebbe affidato la missione di restaurare gli splendori del regno Kongo, che nel XVI secolo si estendeva fino all’Angola e al Gabon. È ossessionato dalla purezza etnica e dal debito che il paese avrebbe nei suoi confronti. E si considera un ispiratore del pur fragile accordo ponte tra Kabila e l’opposizione, che dovrebbe sfociare prima o poi in elezioni. Ragion per cui lo scorso febbraio reclamava il posto di primo ministro. Per tutta risposta, dopo violenti scontri con i suoi sostenitori, lo scorso marzo l’esercito lo ha rinchiuso a Makala con l’accusa di incitamento alla violenza.

E LÌ È RIMASTO fino alle 4 di ieri mattina. La storia aveva preso una brutta piega già nel 2008, quando gli appelli al secessionismo del Bdk vennero repressi nel sangue (almeno 100 morti). Cosa che non ha impedito a Nsemi di flirtare con il suo nemico quando Kabila, per aggirare la scadenza del secondo mandato, si sarebbe alleato anche con il diavolo.

ANCHE OGGI L’OPPOSIZIONE imputa al presidente il ricorso a ogni mezzo pur di non farsi da parte come la Costituzione consiglierebbe. L’accusa è di non rispettare i patti sottoscritti nel dicembre 2016 per scongiurare la guerra civile. L’esecutivo di Bruno Tshibala che ha appena giurato, secondo il Rassemblement degli anti Kabila, non può essere espressione di quell’intesa, anche perché i dicasteri chiave restano sotto il controllo della maggioranza. Ma Kabila è diventato abile nello sfruttare le debolezze dei suoi avversari, nuovamente divisi dopo la scomparsa dell’unica figura che sembrava in grado di fare da collante, l’anziano Étienne Tshisekedi.