Gran premio di Monza addio? La Ferrari abbandonerà la Formula 1? Il rutilante ambiente delle corse è in subbuglio a causa di Bernie Ecclestone e di Luca Montezemolo le cui allarmanti dichiarazioni, ancorchè provocatorie, lasciano presagire un futuro poco esaltante per l’automobilismo sportivo in Italia. Monza e la Ferrari: soggetti distinti, ma problema unico. Anno dopo anno, la Formula 1 sta perdendo quell’invidiabile appeal che l’aveva posta in cima agli sport che coniugano grande spettacolo e grossi affari.

Il sempiterno Bernie Ecclestone, che attraverso la Fom controlla le gare in programma nei circuiti, resosi conto dei flop nel circus della F.1, intende tagliare i rami secchi, ossia quegli impianti in declino, specie in Europa (ma la situazione non è uguale dappertutto). Fra questi, dove i motori hanno visto gli albori, l’autodromo nazionale di Monza. Dal punto di vista commerciale, ma non solo, il contratto della Fom col circuito monzese (per comparire nel calendario di F.1) è stato fallimentare e pertanto alla scadenza del 2016 non verrebbe rinnovato.

Per il gran premio d’Italia si opterebbe su un altro circuito (il Mugello?). Il decantato circuito storico di Monza ha cessato d’incantare perché non si è proiettato nel futuro, innovandosi, né ha conservato memoria, valorizzando testimonianze di architettura sportiva. Si pensi alle ardite curve sopraelevate del catino dell’alta velocità, scenario di gare a 300 all’ora negli anni ’50 e oggi in stato di diffuso degrado. L’Automobil Club di Milano , tramite la controllata Sias, non doveva recuperarle entro l’estate 2014? Riconosciamo però la repentinità con cui Monza si desta dalla condizione di mortale indolenza, chiedendo sostegno alla politica e ai media appena ha sentore, con la «sparata» di Ecclestone, che l’indotto del suo territorio rischia di perdere alcuni milioni di euro nella settimana cruciale del gran premio. Qualora saltasse.

L’autodromo come lo stadio? Monza come San Siro? Anche il vecchio Meazza (quasi 90 anni) vive di storia e di gloria. Qualche anno fa il Times di Londra lo ha definito il secondo stadio più bello al mondo. Peccato per i dettagli, che talvolta diventano enormità dal punto di vista pratico: in tribuna stampa i cronisti (uomini e donne) fanno la fila all’intervallo di partita per guadagnare un’ambitissima latrina, unica e squallida, dentro una specie di spaccio, spacciato per bar.

Luca Montezemolo, patron di casa Ferrari, fa una disamina più ampia: la crisi della Formula 1 dipende dall’applicazione di regolamenti macchinosi, dagli alti costi che lo sviluppo tecnologico richiede, dall’impoverimento dello spettacolo che allontana spettatori e sponsor. E’ sotto gli occhi di tutti che le gare nei circuiti sono prevedibili e dunque non catturano audience: più che divertire annoiano. Monza su tutte. Non che si darebbe una soluzione ai problemi, ma meglio farebbe la Ferrari a riflettere su un aspetto che crediamo incida, in qualche modo, sul mancato interesse delle corse. Sembra sia stato posto un veto, da decenni, all’accesso nella scuderia di Maranello di piloti italiani.

A dirla tutta (e ciò in assenza di una formazione a cui invece la prima industria motoristica sportiva del paese dovrebbe aprire) di italiani in F.1 non ne circolano proprio. Gli ultimi sono stati Jarno Trulli e Giancarlo Fisichella. Non c’è mai stato un vivaio-piloti, dopo i grandi nomi del passato. E’ l’attuale crisi dello sport in Italia, certo, ma la domanda madre, nell’automobilismo, è sempre una: rivedremo un pilota italiano condurre sul traguardo di Monza la Ferrari? L’ultimo a riuscirci si chiamava Ludovico Scarfiotti. Chi se lo ricorda più, è passata una vita: correva l’anno 1966.