C’erano circa 20mila persone, secondo le stime, a manifestare ieri a Roma per il diritto a coltivare liberamente la marijuana. Partita verso le 16,30 da Piazzale dei Partigiani, si è chiusa così a tarda sera a Piazza San Giovanni la 14ma edizione italiana della Million Marijuana March, che si è svolta come ogni anno in altre 420 città del mondo, dal Sudafrica all’Indonesia, dall’Iraq al Giappone, passando per le Americhe (da nord a sud) e ovviamente l’Europa intera. Una colorata e festante “street parade” antiproibizionista, che con suoi carri musicali abbraccia la cultura della cannabis «come una scelta di vita personale, come un bene comune e contro qualsiasi persecuzione penale e amministrativa». Ma soprattutto per chiedere al governo di non decidere «niente su di noi senza di noi», come recita lo slogan della Carta dei diritti delle persone che usano sostanze, presentata in occasione della manifestazione.

Uno degli storici organizzatori dell’edizione italiana della Million, Alessandro “Mefisto” Buccolieri, riprendendo proprio uno dei punti della Carta, aggiunge: «Riteniamo non più derogabile il pieno riconoscimento della non punibilità e del non sanzionamento delle persone per l’uso di sostanze e per tutte le condotte che non violino o ledano la libertà altrui e che siano riconducibili all’uso personale o di gruppo». Gli fa eco un quarantenne in tradizionale maglietta con stampata sopra una grande foglia di marijuana: «Fumo le cime di questa semplice pianta, oggetto di una guerra stupida e ideologica che va avanti da oltre mezzo secolo, da quando andavo a scuola. Ma non voglio comprarla sul mercato nero arricchendo la mafie – aggiunge – di conseguenza me la coltivo da solo, nella stragrande maggioranza degli altri Paesi occidentali rischierei poco o nulla, mentre in Italia è ancora reato, la ritengo una cosa assurda che lede i miei diritti individuali». Un altro giovane racconta di aver trascorso un anno e mezzo agli arresti domiciliari per questa pianta. «Mi hanno trovato poco più di 30 grammi di hashish e marijuana, oggi mi ritrovo la fedina penale sporca e ho perso un periodo della mia vita senza aver fatto del male a nessuno, solo perché mi piace la cannabis. C’è chi beve alcol, a me piace fumare e non vedo perché non possa farlo in pace».

Altri, viceversa, sono finiti direttamente in carcere, in quanto accusati di spaccio. Oppure gli è stata ritirata la patente. «Fino a poco tempo fa e per oltre un anno, sono dovuta andare come prevede la legge ogni settimana al Sert, nonostante fossero gli operatori stessi a dirmi che a parte controllarmi le urine non potevano fare nient’altro per me, in quanto le tarapie riguardano le droghe pesanti, non la cannabis che mi avevano trovato mentre ero al volante».

Nel trambusto di musica raggae suonata a tutto volume dai camion, tanti giovani e non, che ballano, fumano e manifestano, tra cartelloni e finti spinelli giganti, per quello che ritengono un loro diritto negato dalle leggi dello Stato. In piazza anche molti malati, che chiedono a gran voce da anni di liberalizzare la coltivazione di marijuana almeno per scopi terapeutici (la usano, ad esempio, i malati di cancro o sclerosi multipla). «Mi aiuta molto nel dolore eppure allo stato attuale ho soltanto due alternative: comprarla in strada, senza sapere bene di che qualità o con quale livello di principio attivo, oppure spendere ben 700 euro per un solo mese di terapia». Colpa di una riforma fatta come al solito a metà, nel senso che se l’uso di cannabis a scopo terapeutico in Italia è stata autorizzata dal 2006, i medicinali, come il Sativex o il Bedrocan, arrivano ancora dall’estero (soprattutto dall’Olanda) poiché non è ancora possibile coltivare legalmente l’ingrediente base (la cannabis) sul territorio nazionale.

Una manifestazione, la Million Marijuana March di Roma, come sempre pacifica, allegra e colorata, che peraltro non sta «né con le narcomafie né con le multinazionali», ma nemmeno coi partiti, tenuti come sempre alla larga dalla piazza.

«Ancora di più ora, visto che dopo la sentenza che ha dichiarato nulla la legge Fini-Giovanardi il governo è tornato a Giovanardi», attacca un attivista di un centro sociale romano riferendosi al fatto che il senatore del Nuovo centrodestra sia relatore a Palazzo Madama del decreto sulle droghe.