Investimenti nell’edilizia scolastica e fondi per assumere gli insegnanti. Senza un deciso impegno sulla scuola, tagliata di 10 miliardi di euro tra il 2009 e il 2012, il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza si dimetterà. Quello della ex rettrice del Sant’Anna di Pisa, la scuola d’eccellenza dove ha studiato anche il presidente del Consiglio Enrico Letta, è un rilancio rispetto alla posizione del suo illustre concittadino il quale si era limitato a promettere: «Se ci saranno altri tagli a scuola e università ne trarrò le conseguenze». Ieri a Radio 24 Carrozza ha lanciato un vero e proprio aut aut al suo governo: non basta evitare i tagli, bisogna reinvestire. Ma cosa farà se i fondi non arriveranno, o se arriveranno in quantità irrilevanti, com’è accaduto nel caso dei 400 milioni di euro della «Youth Guarantee» che il governo ha provato a spacciare come l’antidoto alla disoccupazione giovanile a partire dal 2014? Il ministro rischia di isolarsi e di mettere nei guai Letta. In fondo Carrozza non ha fartto altro che prendere alla lettera il programma elettorale del Pd, quando ancora c’era Bersani. Per l’edilizia scolastica il suo partito aveva promesso di stanziare addirittura 7,5 miliardi di euro. E in questo calcolo non aveva compreso la stabilizzazione di almeno 150 mila precari nella scuola, senza contare la bonifica del deserto post-atomico che è diventata l’università negli anni della «riforma» Gelmini. Se oggi il governo Letta fatica a recuperare 1 miliardo di euro per la cassa integrazione, è prevedibile che vacillerà paurosamente sugli spiccioli per la scuola. Le sue speranze di sopravvivenza vengono affidate ai fondi europei che, oggi più che mai, sono una manna per curare i disastri sociali provocati dall’austerità. Insomma se Letta non vince questa «partita» rischia di perdere un ministro e forse l’intero governo. La giornata del ministro Carrozza non è però finita qui. Ieri sul suo profilo facebook ha ribadito l’impegno per il «fronte B» del referendum sulle materne paritarie di Bologna. Riprendendo un editoriale di Giulio Sapelli su Il Messaggero, Carrozza ha spiegato che il «sistema integrato» pubblico e privato, cioè il finanziamento pubblico alle 26 scuole cattoliche bolognesi, sarebbe un «bene comune». Un azzardo teorico davvero spericolato perché cerca di aggirare l’articolo 33 della Costituzione. In realtà, Carrozza ha schierato il governo in una contesa che ha assunto un valore politico nazionale. Se perderà il referendum, dovrà essere lei a gestire un risultato che il Pd considera un incubo. E non è detto che questa decisione non produrrà conseguenze anche nel governo dove siede il ministro degli Esteri Emma Bonino la quale, da radicale, dovrebbe difendere la laicità della scuola. Fino ad oggi Bonino ha taciuto. Forse per assicurare il quieto vivere di tutti.