Alexander Dugin è un personaggio. Si tratta di un teorico russo che negli ultimi anni ha conquistato popolarità nella sua madrepatria e non solo, finendo, secondo molti osservatori, per influenzare direttamente alcune decisioni del Cremlino in tema di politica estera. Partito come fascista negli anni 90, «interventista» in Georgia, ancora oggi girano sue foto armato o con un lanciarazzi sulle spalle, Dugin ha fatto carriera, finendo per presiedere importanti organizzazioni culturali e strategiche russe, mettendo in altri posti chiave altri studiosi fautori della sua stessa teoria euroasiatica.

Oggi – diventato ormai una celebrità nel mondo della destra europea e spesso ospite di convegni internazionali – si definisce un «centrista radicale». Le sue posizioni politiche sono via via divenute sempre più anti americane ed è considerato il teorico dell’«Impero euroasiatico». Dugin non va né sottovalutato, né confuso con qualcosa di più grande di lui. La sua elaborazione, inserendosi in un dibattito molto vivo tra le nuove destre, ha finito per unire posizioni molto distanti, apparentemente, creando epigoni e interpretazioni. Qual è la teoria di Dugin che ha finito per conquistare le destre europee alla ricerca di una nuova bussola post guerra fredda? Dugin ha diffuso la teoria del nazionalismo euro asiatico basato sulla contrapposizione tra l’ordine mondiale di Usa e Gran Bretagna, che arriverà a definire in un suo libro «il regno di Satana», o «la nuova Babilonia», all’ordine euro asiatico guidato dalla Russia.

È bene precisare che la teoria di Dugin si compone anche di elementi mistici, religiosi (tanto che alcuni studiosi parlano di «setta») e non si tratta solo di una semplice esasperazione del nazionalismo. Si tratta di un nuovo nazionalismo che si inserisce in quella teoria di «nuova destra europea» che nasce già negli anni Trenta e che si rianima dopo la caduta dell’Unione sovietica. Dugin si inserisce in questo dibattito, plasmando nel tempo la propria teoria, accompagnata da articoli e interventi pubblici più politici, quasi sempre a favore delle politiche putiniane. Ci sono due concetti che stanno alla base della dottrina di Dugin: in primo luogo la necessità che solo una società post liberale, gerarchica e in grado di mantenere le tradizioni culturali europee, sia in grado di arginare il pluralismo e la diluizione, fino alla scomparsa, dei valori tradizionali. Il secondo concetto è decisamente interessante, perché permette di comprendere alcune vicinanze (che la crisi ucraina ha di fatto sancito) tra posizioni di estrema destra e di estrema sinistra, unite dall’antiatlantismo e da letture geopolitiche «occidentali», che non mettono a fuoco le caratteristiche precise di alcune aree del mondo (Siria, Libia, il Medio oriente in generale e la stessa Ucraina). Si tratta del concetto gramsciano dell’egemonia culturale. Ma gli studiosi di Dugin aggiungono altri tre concetti «di sinistra», utilizzati dalla nuova destra europea: l’anti globalizzazione, l’attenzione al territorio e all’ambiente.

Da parte di Dugin c’è anche un interesse nei confronti della Destra italiana, che non è una casualità: Dugin conosce molto bene la storia del pensiero politico italiano e l’ambiente intellettuale che ruota attorno a idee vicine alle sue. Nella sua prima rivista, il Dolce Angelo, Dugin ha infatti ospitato un saggio di Claudio Mutti, direttore della rivista italiana Eurasia. Dugin propone l’idea di «Impero euroasiatico», organizzato in modo federale. Nel suo libro più famoso, Osnovy geopolitiki («Principi di geopolitica»), Dugin aderisce a una teoria che vede la contrapposizione inevitabile tra le potenze marine, Usa e Gran Bretagna, e quelle euroasiatiche.

Il suo pensiero – ribadito nel 2012 in The Fourth Political Theory – ha trovato terreno fertile in molti paesi, in particolare in Ungheria, con Jobbik, in Grecia con «Alba dorata»; con Ataka in Bulgaria. Gabor Vona, leader di Jobbik ha utilizzato la teoria di Dugin per reclamare per l’Ungheria il ruolo di ponte tra l’est e l’ovest dell’Eurasia, rivendicando proprie ancestralità orientali. Per la Grecia – e Cipro – Dugin avrebbe già pronto il ruolo di porto per la guida russa all’Impero. Tutti e tre i partiti, inoltre, condividono l’euroscetticismo, l’anticapitalismo romantico e l’anti liberalismo.

La guerra ucraina ha scatenato molte discussioni, aprendo a scontri verbali sui media e sulla rete tra fazioni: chi ha espresso solidarietà con Kiev e di chi lo ha fatto con le regioni orientali del paese. La confusa situazione dell’est ucraino, tra cittadini e lavoratori in armi, filo russi e neonazisti russi a tenere le redini dei principali battaglioni, ha fatto sì che l’anti atlantismo della «destra sociale» e della sinistra potesse trovare alcuni punti in comune nella guerra del Donbass.

Così come il riferimento storico che richiama, il rossobrunismo, questa vicinanza non è traducibile, ce lo auguriamo, nella nascita di un soggetto politico. Si tratta di concomitanza di analisi e riflessioni, che avvicina alcune istanze tipiche della destra sociale a quelle di una certa parte di sinistra anti atlantista e spesso preda di teorie complottiste.

Senza andare troppo indietro alle origini di quel fenomeno di rossobrunismo che si lega fin dagli anni 20 all’idea di «comunitarismo nazionalista», oggi questa tendenza (basata anche, malauguratamente, sul concetto secondo il quale «il nemico del mio nemico è mio amico»), rischia di creare situazioni imbarazzanti nella riflessioni su eventi storici, appiattendosi sul concetto di Euroasianismo, portato avanti da Dugin e che trova punti di contatto con molti gruppi dell’estrema destra europea.

Questa ipotesi politica contrapposta all’atlantismo e il fascino per Putin costituiscono le due caratteristiche più salienti di quello che potremmo ormai definire come «rossobrunismo putiniano», pensiero minoritario, ma in grado di minare la capacità di leggere gli eventi in un mondo multipolare.Kiev nel Donbass. In prima fila c’è uno dei movimenti storici di estrema destra russa, il «Russia National Unity».

Come riportato in un’intervista al «manifesto» Anton Shekovtsov, uno dei principali analisti delle nuove destra dell’Europa orientale, si tratta di un’organizzazione che esiste dall’inizio degli anni 90 in Russia. «In parte, a livello organizzativo ha una sua struttura di business e un struttura militante, dichiaratamente neo nazista. Hanno partecipato a vari conflitti, come in Transnistria, in Cecenia, dove hanno fatto bottino e incetta di armi e soldi e secondo le mie fonti hanno partecipato al tentato colpo di Stato del 1993 a Mosca, ma in difesa del Parlamento, contro Eltsin. E in seguito hanno partecipato ad ogni conflitto in cui sono riusciti a infilarsi, per fare soldi, armi e training». Oggi sono il gruppo più forte presente nell’Ucraina dell’est. Poi ci sono anche attivisti provenienti dall’«Euroasian union», una sorta di gruppo giovanile dell’organizzazione internazionale guidata da Alexander Dugin, quelli di «Sputnik e Progrom», il «movimento contro l’immigrazione illegale», il «Movimento per la Russia imperiale».