The Space Between è una foto del 1974 di Gordon Matta Clark che raffigura lo spazio vuoto tra le due Torri Gemelle, resistenza attiva alla costruzione urbana, rapporto tra pieno e vuoto, in cui il vuoto assume valore sul pieno. Dal 14 agosto scorso le immagini del viadotto crollato e del vuoto creato (un vuoto denso, sistemico e devastante) sono diventate un motivo costante, una macabra cartolina che rappresenta la città, non ancora una rovina, ma il simbolo di un fallimento. La mostra Filling the Absence, curata da Emanuele Piccardo e Andrea Canziani, prova a riempire questa assenza – non solo strutturale – attraverso l’aspetto che maggiormente rappresenta l’espressione della creatività: il progetto. Nello spazio rinnovato della galleria Pinksummer a Genova, Peter Fend e Yona Friedman, artista e architetto accomunati dalla sensibilità ecologica e da un approccio visionario, declinano le loro personali interpretazioni riguardo Genova, partendo da una dimensione globale.

Dal macro al micro, dal mondo alla Val Polcevera, che Fend rimodella e riporta qui nel sistema che più gli è congeniale: la mappa. Secondo Eudora Welty, scrittrice e fotografa statunitense, «la comprensione di un luogo ci aiuta a capire meglio tutti gli altri luoghi», per questo è così importante interrogarsi su quale sia la corretta attitudine (critica e pratica) da adottare per un armonico inserimento dell’individuo nell’ambiente.

Friedman ha lavorato su fotografie del viadotto elaborando una strategia di recupero, un tocco minimo e manuale che nel suo stile «povero» racchiude tutta la forza dell’idea. Il suo è un intervento contenuto – una parete soltanto – pochi disegni, uno studio sulla biosfera, oltre al avoro sulle immagini. Le visioni di Peter Fend invece crescono e si sviluppano nello spazio, in modo quasi ipertestuale: Eurafrica, calcio, ferrovia, migrazioni, trivellazioni, linguaggio, mappe, geopolitica, Umberto Nobile. Friedman è sintetico per natura, a lui bastano pochi tratti e qualche foglio di carta. Fend destruttura e ricostruisce, in un cut and paste artigianale di cui non si nascondono le sbavature e che serve all’artista per la sua personale ricostruzione geopolitica di un mondo (in questo caso Europa e Africa) non più frammentato sulla base di retaggi storici e coloniali. Fend non è utopista; i suoi progetti sono reali, basati su considerazioni politiche e sociali, oltre che ecologiche. Per «credere nel mondo» – disse Deleuze – occorrono «creazione e popolo». La open call ci riporta a Genova, con tutta la freschezza e la leggerezza che scaturiscono dalla messa in campo di nuove idee, mentre la partecipazione di special guests del calibro di Gianni Pettena, Ugo La Pietra e Superstudio (tra gli altri) conferisce ulteriore forza alla call.
Nella stessa sala, a completamento della mostra, un film documentario co-prodotto dal Museo Nivola e da Pinksummer, curato da Elisa R. Linn e Lennart Wolff. Filling the void si confronta con una progettualità vera, dal basso, interrogandosi su come affrontare il vuoto che da agosto opprime la città. Non necessariamente per riempirlo, ma per trasformare un’assenza (istituzionale, di infrastrutture) in pensiero creativo.
Per chiudere con Joseph Beuys, il primo artista-ecologista: non è romantico, ma assolutamente realistico combattere per ogni albero, ogni lotto di terra non costruito, ogni ruscello non inquinato, ogni centro storico e contro ogni piano di ricostruzione sconsiderato.