Il pavone, la piuma di pavone, la farfalla, l’ape: affonda le radici nella mitologia greco-romana il lavoro che Piotr Hanzelewicz (Lodz, 1978) ha sviluppato per la personaleAll’ombra del pavone (a cura di Michela Becchis), primo intervento di arte contemporanea nella Biblioteca del Senato (fino al 31 marzo). Una mostra che l’artista considera l’appendice di un percorso iniziato lo scorso anno con Laborioso laborioso laborioso all’Istituto Polacco di Roma, in cui proponeva una riflessione sulle dinamiche del denaro (l’euro) con implicazioni che vanno dall’etimologia alla finanza e all’economia e che contemplano termini come verità, falsità, convenzioni, ambiguità.

Hanzelewicz procede per citazioni, partendo dalle fonti per stabilire un confronto con il presente concepito come una sorta di «memento», in cui non è tanto indicato l’oggetto dell’antinomia, quanto vengono sottolineate le conseguenze di un’azione.

Il dialogo è innanzitutto personale, tra l’artista e lo spazio architettonico. Piotr ha creato un corpus di opere nuove da «riconoscere» all’interno di un percorso ideale messo in moto dalla riflessione di partenza, in cui c’è – appunto – il legame con alcune opere precedenti, tra cui la «collezione» di banconote interpretate dal pubblico in occasione della mostra del 2013. Anche nel contesto di All’ombra del pavone è chiesta la partecipazione del fruitore (una sua assunzione di responsabilità), invitato a lasciare il proprio parere sui rapporti tra potere economico/politico e cultura. Gli «atti a rendere» si mimetizzano tra gli altri volumi della libreria che traccia il perimetro della sala, esattamente tra il n. 999 e il 1001, proprio come sulla parete opposta – tra il 1157 e il 1158 – c’è l’«alveare». Una mappatura apparentemente casuale che, in realtà, non lo è affatto, in cui l’arte è «un’incisione profonda all’interno del tessuto sociale, non qualcosa di epidermico».

I piani di lettura sono vari e la polisemia corroborante, come nei disegni colorati che hanno la freschezza di schizzi veloci, realizzati con i pastelli a cera e ad olio, ma che restituiscono nei dettagli la forma di esseri viventi sezionati o interi. In particolare, i quadrati che ricompongono il pavone bianco di un maestro olandese della fine del XVII secolo (Jan Weenixs) sono «attaccati» al pavimento con dello scotch e protetti da una pellicola trasparente, proprio come i disegni dei «madonnari» sui marciapiedi. Disegni che devono essere calpestati, gesto che sconfina nella precarietà latente dell’opera stessa, che è anche la rappresentazione poetica della cruda realtà di una storia costruita a tavolino. Ma perché il messaggio è affidato al pavone, animale particolarmente bello, discriminato proprio per la sua bellezza? «Lego l’idea del pavone e del pavoneggiarsi – spiega l’artista – a un luogo di potere, perché questo spazio istituzionale è per me al crocevia tra il potere e la cultura. Nella figura del pavone convergono riflessioni precedenti incentrate sulla tematica del denaro. Giunone mi viene in aiuto. Nel momento in cui sul Campidoglio la legione romana è sotto assedio e tutti dormono, le oche svegliano i romani e salvano la situazione. È stata la dea ad ammonire, quindi diventa Giunone Moneta e sul Campidoglio viene fondato il tempio per il suo culto e di lì a breve, nello stesso luogo, nasce la zecca che produce il Nummus, moneta corrente che prende piano piano, per metonimia, il nome di ’moneta’.

Dal binomio Giunone/pavone mi viene in mente che è possibile essere ammoniti di nuovo. Ci sono delle motivazioni che potrebbero spingere Giunone a dire «attenzione», anche se succede che stiamo calpestando un ambasciatore di Giunone – il pavone – per di più albino, quindi ancora più raro e prezioso. Il pavone è morto, quindi l’ambasciatore dell’ammonizione, ovvero del monito, non solo è stato ucciso, ma è appeso per le zampe a testa in giù ed esposto come trofeo. Sezionato e diviso, il pavone non può essere più decifrabile. Il monito è che se non si riesce ad avere una visione d’insieme – se si guarda solo al proprio piccolo quadrato – non si riceve più alcun messaggio, e non si vedono più neanche le tracce del messaggero».