Nelle ultime settimane del mese di marzo 2011, a pochi giorni dall’inizio ufficiale, il 15 marzo, delle manifestazioni che chiedevano «libertà e dignità» (hurriya wa karama) per il popolo siriano, Damasco era tappezzata di poster pubblicitari colorati.

Quello che da subito aveva attirato la mia attenzione, tanto da fotografarlo più volte, ritraeva una mano alzata, di vari colori, accompagnata dallo slogan a lettere cubitali: «Io sto dalla parte della legge». Ne esistevano varie versioni: «grande o piccino, sto dalla parte della legge»; «emotivo o razionale, sto dalla parte della legge»; «progressista o conservatore, sto dalla parte della legge». Ogni volta lo slogan era accompagnato da una mano alzata, blu, arancio, verde; tanto che, con tutte quelle mani che era come se gridassero all`unisono «io sto dalla parte della legge», mi sembrava di camminare in un`orwelliana città del Grande Fratello. L’avvertimento ai cittadini era chiaro: chiunque manifesti si mette contro la legge, ergo non bisogna manifestare.

Eppure, per quante mani colorate pullulavano nelle strade di Damasco, altrettante copie virtuali ne spuntavano su Facebook. I poster erano esattamente gli stessi, usavano lo stile e i caratteri di quelli riprodotti nella capitale siriana, però nella versione Internet le mani alzate accompagnavano altri messaggi, composti su toni ironici e provocatori, del tipo: «Io sto dalla parte della legge… ma dov’è?». Oppure: «Io non sono indiano», un’espressione che corrisponde a «non puoi imbrogliarmi», per ricordare agli ideatori della campagna che ogni cittadino siriano ha ben presente cosa voglia dire «legge» in Siria e chi ne decide i contenuti e i limiti.

Probabilmente, colpiti dall’ondata di remix anonimi e virali, i pubblicitari – e i poteri che vi si celavano dietro – decisero allora di aggiustare la campagna su toni più neutri. Fu così che la mano alzata prese il colore verde, dietro uno sfondo rosso nero e bianco (i colori della bandiera siriana), accompagnando un sobrio messaggio: «la mia richiesta è la tua richiesta. Io sto dalla parte della Siria». Il tentativo era chiaro: sostituire la controversa idea di «legge» con un concetto più universale, quello di patria, al quale tutti i siriani avrebbero dovuto sentirsi legati, e nell’interesse del quale avrebbero dovuto smettere di manifestare.

Eppure, anche questa volta, un`ondata di parodie del poster e del suo semplicistico slogan si riversò su Internet. E, stavolta, anche nelle strade della Siria. Armato di un pennarello, probabilmente a notte fonda, senza essere troppo notato, l’anonimo cittadino scrisse sul poster con la mano alzata: «La mia richiesta è la libertà». Un altro, cancellando la parola «Siria», compose la frase finale: «Io sto dalla parte della libertà».

Da quella lontana primavera 2011 molte cose sono successe: e la rivoluzione siriana, che per molti, all’inizio, significava mani alzate, disarmate e pacifiche, si è trasformata nella guerra civile di cui sentiamo parlare ogni giorno dai mass media. Eppure, il fatto che lo scontro fra il regime e i manifestanti sia diventato sempre di più uno scontro armato, che una parte della rivoluzione abbia imbracciato le armi, e che non meglio identificati battaglioni di combattenti stranieri si siano installati in Siria con lo scopo di liberarla dagli Assad per trasformarla in un improbabile califfato islamico, non ha spazzato via gli atti di resistenza creativa della popolazione civile.

La campagna delle mani alzate continua a saltare fuori dagli angoli più improbabili della rete, con ogni sorta di messaggio. In alcuni casi, le mani sono diventate quattro, che si tendono a due a due in una stretta, mentre lo slogan dice: «che tu sia con il regime o con l’opposizione, resti sempre mio fratello», a invocare il dialogo fra la società civile. In altri poster remixati dagli utenti anonimi, le mani si moltiplicano, accompagnando lo slogan: «offriti volontario», in riferimento all’estremo bisogno di solidarietà in una situazione in cui aumentano gli sfollati e i senza tetto dentro il paese.

Non solo: in risposta alle campagne pubblicitarie governative e alla versione ufficiale dei media siriani, che hanno da subito dipinto la rivolta siriana come frutto della manipolazione e della cospirazione straniera, sono spuntate miriadi di pagine satiriche su Facebook. Come «The chinese revolution» e «Syrian tank wash service», entrambi provenienti da Homs, che ironizzano sulla matrice «aliena» della rivoluzione siriana. In parallelo, nelle strade della Siria diventavano popolari gli slogan e i cartelloni colorati dipinti dagli improvvisati artisti di Kafer Nabl, un villaggio del nord della Siria la cui popolazione, per la maggior parte agricoltori, si è – dall’inizio della rivoluzione – prestata a produrre poster satirici che sbeffeggiano il regime e l’incapacità della comunità internazionale di trovare una soluzione alla crisi siriana.

Anonimi cittadini siriani si sono cimentati in ogni tipo di gesto di resistenza creativa e disobbedienza civile. Il gruppo Ayyam al-hurriya (Freedom days), sul suo canale YouTube e sulle sue pagine Facebook, ha prodotto un ciclo di video che spiegano, in maniera semplice e creativa, cosa vuol dire disobbedienza civile, illustrando una serie di azioni che i cittadini – anche coloro che non vogliano direttamente essere coinvolti nelle manifestazioni per paura di ritorsioni e violenze – possono portare avanti per dimostrare il proprio dissenso rispetto al regime.

La campagna che ha ottenuto più risonanza è forse quella dello sciopero della dignità (idhrab al-karama), portata avanti nel maggio del 2012, in particolare nel mercato più importante della capitale Damasco, il suq al-Hamidiyya. Lo slogan dei disobbedienti era: «Chiudi il tuo negozio, apri il tuo cuore», e con successo le serrande dei negozi del suq rimasero abbassate, almeno fino a quando le forze di sicurezza non intervenirono per far riaprire le attività commerciali.

Altri gesti di disobbiedienza civile, come il movimento ispirato ai rijal al-bakhakh (gli spray men), hanno mirato a riprendere il controllo degli spazi pubblici delle città e a diffondere i messaggi pacifici del movimento di protesta contro il regime – slogan come «la nostra rivoluzione è pacifica» – attraverso graffiti disegnati sui muri e diffusi viralmente dalla pagina Facebook «Freedom Graffiti Week» alle strade della Siria. Eppure, anche in questo caso, la repressione è stata sproporzionata, e uno dei simboli del movimento graffitaro siriano, il giovane Nour Hatem Zahra, ha pagato con la vita, nell’aprile del 2012, il prezzo per aver dipinto parole e colori sui muri di Damasco.

Nonostante la reazione violenta, gli episodi di disobbedienza civile e resistenza creativa hanno continuato ad abitare le strade e le piazze siriane. Persino oggi, quando l’eco della violenza di cui sentiamo parlare sui media sembra aver terrorizzato la società civile ed averla paralizzata nei suoi gesti attivi di dissidenza, la resistenza creativa continua.

Quando l’università di Aleppo è stata bombardata, nel gennaio del 2013 – un episodio i cui dettagli e la responsabilità non sono mai venuti realmente alla luce – lasciando oltre ottanta morti e centocinquanta feriti fra gli studenti che si trovavano in facoltà a sostenere gli esami, i loro colleghi hanno risposto immediatamente alla violenza creando poster, quadri, manifesti, composizioni grafiche per ricordare al mondo, attraverso l’espressione artistica, la tragedia umana in corso.

E qualche mese fa, in occasione del secondo anniversario dell’inizio della rivoluzione, quando gli attivisti hanno aperto forum di discussione su Internet per dibattere su come commemorare l’evento, si è deciso di utilizzare la parola «festeggiamenti» (ihtifalat) ed avviare una campagna su tutto il territorio siriano per rivitalizzare lo spirito originario della rivoluzione.

Così i luoghi controllati dall’esercito libero hanno visto nascere attività culturali ed educative, come workshop per bambini, teatro di strada, lettura di testi poetici; mentre le città sotto il controllo del regime, come la capitale, hanno assistito al moltiplicarsi di graffiti e arte murale, con lo scopo di ricordare alla società civile il suo diritto a riprendere possesso degli spazi pubblici, ormai controllati da una parte dal governo, e dall’altra dall’opposizione armata.
La resistenza della società civile continua in Siria, in forme e modi sempre diversi e in mutazione, a dispetto di coloro che la vorrebbero ormai schiacciata dal gioco politico di super-potenze regionali e mondiali o dalla violenza militare sul campo.

«Creative Syria» è un piccolo omaggio a questa capacità del popolo siriano di continuare a creare, a disobbedire, a resistere.

Il percorso della mostra si articola in due direzioni.
La prima espone una selezione di lavori di artisti siriani, emergenti o già affermati, che hanno dedicato questi ultimi due anni a raccontare il paese, il suo dolore, la sua speranza e la sua voglia di ricostruzione, attraverso ogni genere di linguaggio artistico, dal video alla performance, dalla musica alla poesia.
La seconda si dedica ad esplorare la creatività user-generated, quella anonima, viralmente diffusa su Internet e nelle strade della Siria attraverso gli slogan e i cartelloni delle manifestazioni, le parodie e i graffiti, i poster politici e i remix.

In questo tipo di creatività partecipativa e diffusa si cela un’idea di cittadinanza attiva che esprime idee politiche attraverso la creazione di contenuti nuovi e irriverenti; e dimostra, con la sapiente rimanipolazione dei messaggi prefabbricati dal potere, di essere capace di rovesciarne la narrativa e produrre nuovo senso.
Questa creatività anonima e virale è la chiave del futuro della Siria: dimostra che esiste una società civile tuttora viva, attiva e partecipativa, poichè creativa.
Eppure, la bellezza prodotta da questi artisti, sia noti che anonimi, non ci deve rassicurare, o confortare, né tantomeno farci dormire sonni tranquilli, certi che la società civile sopravviverà, nonostante tutto. Uno sforzo creativo è richiesto anche a noi, cittadini dell`altra sponda del Mediterraneo, per immaginare modi diversi e urgenti per sostenere la creatività della società civile siriana.

*Dal catalogo del festival