Un progetto di arte contemporanea commestibile. Non è la prima volta che accade sulla scena creativa, ma questa volta c’è un coinvolgimento di verso della comunità e delle città che abitiamo. Nato per la 32/ma Biennale di São Paolo, Restauro dell’artista brasiliano Jorge Menna Barreto è sbarcato – con opportune modifiche – alla Serpentine di Londra, grazie alla partnership tra la Fundação Bienal de São Paulo (che lo ha portato in Inghilterra) e la celebre galleria. Ma cos’è Restauro (che l’anno scorso ha nutrito circa 900mila persone, visitatori della mostra)? Una specie di ristorante consapevole che pesca cibo nei nostri stessi parchi, chiamando a raccolta, per il suo piano nutrizionale, produttori bio e operatori di sistemi agroforestali.

Come lei stesso ha detto più volte «il cibo che mangiamo oggi è molto addomesticato. Può spiegarci in che senso?
C’è un esempio molto chiaro nel progetto londinese. Abbiamo utilizzato il tarassaco, ispirandoci alle erbe commestibili che crescono spontaneamente a Hyde Park, per preparare una delle nostre ricette: gelato al tarassaco (dente di leone). Per capire di cosa stiamo parlando, possiamo cominciare proprio dal tarassaco e dalle lattughe (sono dalla stessa famiglia, cugini lontani). Queste ultime una volta erano selvatiche, ma sono state coltivate per soddisfare i nostri gusti. E così hanno perso la connessione con la terra e con le altre specie. Le lattughe, infatti, hanno radici molto basse. Se non vengono annaffiate per un solo giorno, potrebbero morire. Sono diventate dipendenti dagli esseri umani e non possono più sopravvivere in un ambiente in cui non ricevano cure. Di conseguenza, il loro sapore si è affievolito, è molto blando. Dal punto di vista nutrizionale, sono piuttosto povere, poiché traggono solo minerali situati negli strati superiori del terreno. Prendiamo ora il caso dei denti di leone. Le loro radici sono profonde, si nutrono dei minerali sottoterra e contengono così un’ampia varietà di sostanze nutritive. Il loro sapore è amaro, qualcosa che abbiamo smarrito, ma che i nostri corpi ricordano ancora. I nostri fegati li amano, ma le nostre bocche sono viziate dai cibi trasformati e dai piatti facili da mangiare. La domanda dunque è: di cosa ci nutriamo quando mangiamo le lattughe e di cosa ci alimentiamo attraverso il tarassaco, considerando il fatto che il cibo è pieno di informazioni provenienti dalla terra? E in più, cosa deve insegnarci ciascuna di queste piante? Le insalate a essere obbedienti e dipendenti. I cibi un tempo selvatici ci collegano al luogo e ci offrono indicazioni sulla diversità.

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Che impatto ha il paesaggio sul nostro fisico e anche sulla nostra mente, sulla formazione dell’immaginario?
La storia dell’arte ha mostrato quanto sia importante il nostro rapporto con il paesaggio. Artisti britannici come Richard Long, Ian Hamilton, Finlay, Constable e Turner hanno saputo raffigurare la complessa relazione tra l’uomo e il luogo. Restauro si propone di ampiare queste considerazioni, includendo il cibo nell’equazione, senza abbandonare però una prospettiva artistica. Sono due le categorie su cui fare affidamento: il disegno e la scultura. Circa il 70% della nostra assunzione di cibo sul pianeta si basa soltanto su 5 piante, tra cui soia, mais, grano, con vaste monocolture. Possiamo garantire una sola specie per volta grazie all’uso di pesticidi e macchinari pesanti. Ma la natura è una grande portatrice di diversità che si manifesta in forma di erbacce, alberi, insetti e animali che, in una monocoltura, non sono i benvenuti. Nel mondo, esistono 25mila vegetali commestibili. Stiamo lasciando fuori 24.995 specie dalla nostra dieta. Si prospetta per noi un mondo piatto e con un paesaggio «monocolturale» ed enormi impatti ambientali. Quindi, come possiamo coltivare il cibo e allo stesso tempo aumentare la biodiversità e rigenerare il suolo? Le foreste hanno molto da insegnarci. Oggi sappiamo che la foresta amazzonica è stata una vasta dispensa alimentare per migliaia di anni. L’industria del cibo individua nelle foreste un ostacolo da abbattere per favorire le monoculture.
In Brasile, circa il 90% della deforestazione dell’Amazzonia è legata al bestiame e alla monocoltura della soia (per nutrire gli animali!). Le nostre abitudini alimentari stanno trasformando il pianeta e il paesaggio sta gradualmente diventando monotono, oltre che fonte di devastazione. Il sottotitolo di Restauro è «scultura ambientale»: suggerisce il fatto che siamo tutti scultori e possiamo modellare il paesaggio semplicemente scegliendo ciò che vogliamo mettere nei nostri stomaci. Il progetto? Non dobbiamo ridurre il nostro sistema digestivo al passaggio dalla bocca all’ano, come ci è stato detto a scuola, ma includere anche il suolo.

«Restauro» a Londra: come è cambiata la sua opera dal Brasile all’Inghilterra? I contesti sociali e culturali sono molto diversi …
È stato importante arrivare in Inghilterra un paio di mesi prima del completamento del progetto. Solo dopo aver visitato i luoghi e parlando con gli agricoltori siamo stati in grado di creare ciò che abbiamo definito «ricette agricole specifiche». In Brasile abbiamo fondamentalmente agrumi, un genere raro in Gran Bretagna. Abbiamo lavorato con alcune aziende biologiche, molto politicizzate. Condividono il senso di responsabilità e di approccio etico al suolo, ci hanno fatto sentire a casa, hanno lo stesso Dna che troviamo in Brasile, nonostante tutte le differenze culturali. È stato incredibile aver potuto assaporare l’integrità nel cibo. È qualcosa che non riguarda solo i germogli, ma l’ambiente e la salute dei nostri corpi.

Il suo progetto solleva domande sullo sviluppo delle abitudini alimentari. È un modo di sensibilizzare l’opinione pubblica sullo sfruttamento intensivo della terra?
Sì, e voglio includere anche l’arte in questo gioco. Quando si parla di biodiversità, di solito intendiamo tutte le specie vegetali e animali. Penso sia importante includere altre aree della conoscenza umana. Il cibo non dovrebbe essere solo un compito affidato all’agricoltura, ma a ecologisti, sociologi, antropologi e perché no, agli artisti! L’arte contemporanea può far riemergere il mondo in cui viviamo attraverso prospettive davvero originali. Il suo ruolo è, per citare Vandana Shiva, «la creazione di immagini che possano ripopolare le monocolture che affollano le nostre menti».

Cosa ha in programma per il futuro?
Restauro è stato un lavoro basato sull’esperienza che va avanti. Durante la Biennale di São Paulo, abbiamo evitato testi e immagini da mostrare al ristorante perché volevamo che il cibo stesso raccontasse le sue proprie storie. Ciò non significa che non abbiamo molto da dire sulle ricerche che stiamo compiendo in luoghi diversi. L’indagine è iniziata con uno studio post dottorato: cercavo le relazioni tra arte e agroecologia. La storia di Restauro è narrata anche con fotografie, ricette e testi, che testimoniano concetti e idee coinvolte nel progetto. La missione è quella di fornire ai clienti il miglior cibo e bevande di qualità. La domanda di partenza è stata questa: può un libro essere come una foresta? Ci siamo ispirati alla Cucina di Olafur Eliasson, in cui l’artista mostra la complessità e il protagonismo della cucina nel suo studio di Berlino.