Pubblicato negli Stati Uniti nel 1946, nel cuore della grande stagione del noir, Nightmare Alley venne identificato con il genere, ma è in realtà un oggetto narrativo complesso e straniante per trama e atmosfere, stile e tecniche narrative: insieme al suo autore, William Lindsay Gresham, è diventato nel corso dei decenni un oggetto di culto e al suo rilancio non è probabilmente estranea la sensibilità new weird diffusasi trasversalmente tra cinema, letteratura, arti figurative e musica. Tradotto ora in modo eccellente da Tommaso Pincio per Sellerio (pp. 473 e 16, 00), il romanzo è scandito da capitoli ispirati ciascuno a una carta dei tarocchi. Ne è protagonista Stanton Carlisle, giovane ambizioso con un passato famigliare doloroso e irrisolto.

Mangiabestie si diventa
Stan si guadagna da vivere come illusionista in un Luna Park ambulante che viaggia attraverso la provincia americana esibendo i propri fenomeni da baraccone; deciso a fare carriera fino a trasformarsi nel Grande Stanton, non esita a diventare l’amante dell’anziana Zeena, moglie di un vecchio mago ormai alcolizzato, per carpirle i segreti del mestiere. Ma una volta che si sarà legato a Molly, la ragazza che lavora nel suo stesso Luna Park, Stan si staccherà dalla compagnia di giro e comincerà a lavorare per conto proprio, raffinando sempre più l’arte dell’imbroglio e creando una vera e propria Chiesa ispirata ai principi dello spiritualismo: fino a quando l’incontro con Lilith, una psicologa astuta, dominatrice e priva di scrupoli, lo avvierà verso un abisso professionale e umano dal quale gli riuscirà impossibile riemergere.

Nell’elaborare una materia probabilmente autobiografica – Gresham, prima di sposare il marxismo e andare a combattere in Spagna nelle Brigate internazionali, si era guadagnato da vivere, tra l’altro, come illusionista – Nightmare Alley opta per una declinazione fortemente noir: come gli antieroi di Cain, il protagonista – che pure non ha esitato a sfruttare con cinismo la propria avvenenza per carpire a Zeena le sue competenze e per fare di Molly la complice perfetta delle sue truffe – finisce in rovina per colpa dell’unica donna della quale si sia innamorato. Il clima allucinato all’interno del quale si dipana la storia ha molti punti in comune con i romanzi di Cornell Woolrich/William Irish, e in particolare con la famosa «serie nera» inaugurata da Sipario nero e ampiamente saccheggiata anche dal cinema, o con quelli di David Goodis.

Le sfumature grottesche e le esplosioni di violenza verbale, ma non solo, fanno pensare ai romanzi più felici di Jim Thompson. E come i classici del noir, Cain per primo, anche Gresham sembra avere come riferimento lo scenario della Grande Depressione: ne fa da perfetto correlativo la deriva morale e la progressiva disumanizzazione del protagonista, il cui destino è adombrato fin dalla prima scena del romanzo, quando Stan guarda con un misto di curiosità e orrore il mangiabestie, fenomeno da baraccone condannato a vivere in mezzo ai serpenti e a uccidere galline e polli staccando loro la testa e bevendone il sangue.

Registri mobili
Lo spettacolo è così atroce che Stan non può esimersi dal chiedere a Hoately, l’imbonitore, come faccia a «convincere la gente a fare il mangiabestie». La risposta di Hoately è spietata: «I mangiabestie non si trovano. Si creano»: basta pescare «un tizio qualunque, non un mangiabestie ma un semplice ubriacone», prenderlo da parte, offrirgli un impiego temporaneo nel quale dovrà solo fingere di bere il sangue delle galline dopo averle sgozzate con un colpo di lametta, fare in modo «che non gli manchi il necessario», fornendogli «la boccia quotidiana e un posto in cui dormire e smaltire la sbornia», per poi alzare il tiro e pretendere che la finzione diventi realtà. Nel dialogo con Hoately è già prefigurato il destino che attende Stan in fondo alla sua parabola, invasa – perfino nel suo punto più alto – dal presagio della fine.

Nightmare Alley è dunque allo stesso tempo un noir classico, e un testo che, per stile e tecniche narrative, appartiene a pieno diritto alla grande stagione del modernismo americano, come lascia intendere esplicitamente l’epigrafe del romanzo, con una lunga citazione dalla Terra desolata di T.S. Eliot, ma ancor più l’alternarsi continuo di gerghi e registri, il costante variare del punto di vista, la presenza di sezioni nelle quali il flusso di coscienza dei personaggi prende il sopravvento.
Elementi, tutti, bene evidenziati da Tommaso Pincio nel piccolo saggio che conclude il libro e nel quale lo stile di Gresham viene definito «febbrile»: «uno scrivere ebbro, imbevuto d’alcol e disarticolato, che riflette alla perfezione tanto la personalità del protagonista quanto quella dell’autore». Nello stesso saggio, Pincio traccia anche un interessante parallelo tra il Grande Stanton di Nightmare Alley e il Grande Gatsby dell’omonimo capolavoro di Fitzgerald, «il personaggio che per primo e più di ogni altro ha incarnato le contraddizioni del sogno americano», e del quale Stanton Carlisle sarebbe una versione consapevole e disillusa, incapace ormai di mantenere «la nobiltà di chi crede al sogno a dispetto di tutto» e costretta a guardare alla vita «come a un vicolo buio nel quale si viene braccati in eterno». Un vicolo ormai piombato nell’incubo che, evocato dal titolo del romanzo, avvolge l’America, appena passata dal dramma della Grande Depressione a quello del secondo conflitto mondiale: ogni capacità di illusione sembra perduta, e il paese si appresta a precipitare nella paranoia della Guerra Fredda.

Nella tradizione cinica
Qui, la capacità di sognare, la ricerca di certezze e l’ansia di riscatto che connotavano Jay Gatsby non appartengono tanto al Grande Stanton, che sa utilizzare solo le armi dell’inganno e della truffa – quelle stesse armi che Lilith gli rivolgerà contro, e che ne segneranno la fine – quanto alle sue vittime designate. E l’inganno come arte è la vera cifra del romanzo, la vera lezione che Zeena impartisce a Stanton fin dai primi capitoli: «Le persone muoiono dalla voglia che qualcuno gli predica il futuro e tu li rincuori. Che diamine, dai loro qualcosa da desiderare e in cui sperare. È quel che fanno i predicatori la domenica.

ra essere un’indovina e un predicatore, la differenza è poca, per come la vedo io. Tutti sperano il meglio e temono il peggio, di solito la vita volge al peggio ma questo non ci impedisce di sperare».
Manipolazione, inganno, estorsione della fiducia, arte di alimentare l’illusione: nel porre questi temi al centro della propria trama e del proprio immaginario, Gresham si inserisce, più ancora che nel canone del noir o del modernismo, in una contro-tradizione cinica e disincantata che attraversa il romanzo americano fin dalle sue origini e ha nell’Uomo di fiducia di Melville e nello Straniero misterioso di Mark Twain i suoi prodromi fondamentali e nella Perizie di William Gaddis il suo più illustre e celebrato successore.