C’è anche una bandiera rossa che sventola alla cerimonia che accompagna Angelo Del Boca nel saluto che Torino gli consegna a due giorni dalla sua scomparsa. Ci sono i compagni che ricordano l’impegno partigiano, gli storici che hanno lavorato con lui ricostruendo la verità delle nostre imprese coloniali, gli amici della famiglia e anche qualcuno che Del Boca non ha mai conosciuto ma di cui conosce i libri e la ricerca durata tutta la vita. Iniziata giovanissimo da partigiano, poi da scrittore e giornalista, infine da storico fuori da un’accademia che ha dovuto riconoscere la profondità del suo lavoro, che una scrittura agile e intrigante rendeva comprensibile anche al grande pubblico.

Ci sono Paola, l’ultima compagna, Sandra e Daniela le due sorelle maggiori, Davide e Ilaria. Avviciniamo Luciano Boccalatte direttore dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza: «È stato nel nostro direttivo dando molto col suo impegno civile e col suo contributo come storico che ha sollevato il tema dei crimini del colonialismo italiano che era stato totalmente rimosso». Se Del Boca è lo storico che ha squarciato il velo sull’opaca guerra di conquista condotta a golpi di tortura, stragi e uso dei gas, è anche l’uomo che ha distrutto, con maggior forza rispetto ad altri, il mito degli «italiani brava gente», quelli dei ponti e delle strade che, in Croazia, riempivano secchi con gli occhi dei partigiani fucilati.

Ma Nicola Labanca, uno studioso che come Del Boca ha dedicato la sua ricerca nelle stesse direzioni, va oltre: «Del Boca ha lasciato, anche a chi non lo ha conosciuto un’enorme quantità di libri attraverso i quali ha conosciuto lui e soprattutto i temi che aveva studiato: oggi si ricordano solo i gas di Mussolini, Italiani brava gente, le polemiche… ma si dimentica che tutto ciò era basato su sei straordinari volumi di ricerca editi tra gli anni Settanta e Ottanta che hanno cambiatola conoscenza del colonialismo italiano. Voglio dire che le polemiche si fanno quando si conoscono le cose al contrario di quanto avviene oggi che si fa polemica senza sapere nulla… Chi lo ha conosciuto – conclude Labanca – sa che era anche una persona straordinaria, mite, anche ingenua, e soprattutto di grande spessore umano».

Lo spessore umano e quello dello storico si fondono nel ricordo di Matteo Dominioni, il suo allievo più «giovane», l’allora ragazzo cui Del Boca aveva affidato ricognizioni negli archivi nutrendolo di racconti «come quelli su Abebè Aregai o ras Immirù – ricorda – che per me erano gli eroi che avevano combattuto il male». Ma Del Boca sapeva essere anche rigido, a volte persino scontroso. Quando Dominioni va a trovarlo la prima volta per chiedergli consiglio, Angelo lo gela: «Su queste cose – gli dice – ho già scritto tutto io». Ma è «un modo per mettermi alla prova, per vedere se faccio sul serio. Quando torno dopo sei mesi passati negli archivi e gli mostro il mio lavoro, mi spalanca ogni porta e da allora mi ha sempre aiutato».

Ma a condividere la perdita di Angelo non c’è solo l’accademia o il ricordo dei partigiani. Caterina Deregibus, attrice, figlia di una etiope e di un italiano, Del Boca non lo ha mai conosciuto di persona ma è lì: «Sono venuta al suo funerale perché, anche se non ci conoscevamo, ho letto molti suoi libri soprattutto quelli sull’occupazione italiana e la storia di Hailé Selassié. Ho imparato molto dai suoi testi e volevo in qualche modo onorare il suo lavoro… aggiungo che nel mio, a teatro, un po’ per la mia formazione ronconiana, un po’ perché sono italo-etiope, amo lavorare su testi che hanno una solida base storica».

Vien da pensare al cronista che questo sia forse l’omaggio più bello ai 96 anni intensamente vissuti di Angelo Del Boca: arrivato a toccare corde diverse che vanno dallo studioso al cittadino curioso della Storia d’Italia fino a chi riesce a trasformare il suo lavoro in un’arte nobile, in grado di traghettare la freddezza dei fatti nell’emozione di un palcoscenico.