Stan Lee aveva previsto tutto. Chiunque abbia mai sfogliato un albo della gloriosa Editoriale Corno di Luciano Secchi (alias Max Bunker) non poteva non restare a bocca aperta scorrendo le magniloquenti didascalie che annunciavano l’avvento dell’irresistibile Era Marvel. Scritte «furiosamente», «prodigiosamente» (e così via) da Lee e disegnate «maestosamente», «divinamente» (ecc. ecc.) da Jack Kirby (John Romita, Don Heck Gene Colan e così via), scorrevano davanti agli occhi del lettore le avventure di Capitan America, Il mitico Thor, Gli incredibili X-Men, I potenti Vendicatori, L’incredibile Devil e I fantastici quattro.
Lo sbarco dei supereroi Marvel in Italia avviene nel 1970. Nove anni prima, nel 1961, Stan Lee, nipote di Martin Goodman, assume la direzione della Timely Comics e che, prima di diventare Marvel, si chiama brevemente Atlas Comics. Lee, soprannominato il sorridente dai fan, cede il ruolo di redattore capo nel 1971. La sua funzione sarà presa da Roy Thomas l’anno successivo, rivelandosi personaggio chiave per la Marvel degli anni Settanta.
La storia della Casa delle idee, rilevata dalla Disney nel 2009, inizia però nel lontano 1939.
Frank Torpey lancia la rivista a fumetti Motion Pictures Weekly. Avventura dalla vita brevissima, un solo numero, ha il merito di presentare un personaggio cruciale: Namor – The Submariner. Disegnato da Bill Everett, Namor è il primo tassello dell’universo Marvel. Diventerà antagonista dei Fantastici Quattro e membro degli Illuminati, un gruppo supersegreto di supereroi comprendente tra gli altri Reed Richards, Tony Stark e il Dr. Strange.
Nonostante l’insuccesso dell’impresa di Torpey, la rivista cattura l’interesse di Martin Goodman, titolare della Western Fiction Publishing che ne rileva la produzione. La rivista cambia nome e diventa Marvel Comics pubblicata sotto l’egida della Timely Comics. In questo periodo vedono la luce personaggi come la prima Torcia umana, Ka-Zar (una variazione di Tarzan) e, soprattutto, Capitan America. L’universo Marvel però, così come lo conosciamo oggi, avrebbe preso compiutamente forma solo dopo l’insediamento di Stan Lee alla guida della Timely con l’inevitabile cambio di nome.
A più di mezzo secolo di distanza da quando Stan Lee (vero nome Stanley Lieber) ha preso la guida della Casa delle idee, la Marvel è più che mai un autentico colosso che da editoriale si è trasformato in moloch crossmediale. Avendo attraversato tutte le crisi possibili e immaginabili dell’immaginario collettivo e dell’editoria, rischiando addirittura di chiudere nel 1996, la Marvel, grazie all’oculato rilancio cinematografico dei personaggi chiave della sua scuderia, gode oggi di un prestigio senza precedenti.
Escludendo la trilogia Spider-Man diretta da Sam Raimi, i precedenti tentativi di portare al cinema i supereroi Marvel (vedi I Fantastici Quattro, Devil, Hulk e Ghost Rider) si sono rivelati tutti dei fallimenti. L’inevitabile reboot e il conseguente successo planetario dei film dedicati agli X-Men e, soprattutto, ai Vendicatori, senza contare Thor e Capitan America, ha conquistato alla Marvel nuove schiere di lettori perse in precedenza a favore dei manga nipponici o dei videogiochi.
Per celebrare questo rinnovato momento d’interesse planetario, la Marvel è sbarcata in forze all’ Art Ludique – Le musée di Parigi. Inaugurata il 22 marzo scorso, la mostra, che si protrarrà sino al prossimo 31 agosto, strutturata strategicamente come un corollario del complesso apparato promozionale di Captain America – Il soldato d’inverno, si offre come un’istruttiva corsa attraverso il mezzo secolo marvelliano. Replicando un momento chiave del film di Anthony e Joe Russo, i visitatori si trovano nella posizione di Steve Rogers che visita una mostra dedicata a… se stesso. Il sotto-testo è, ed è una notizia che i fan più in là con gli anni aspettavano da molto tempo, che il Marvel Universe è diventato finalmente un luogo fisico se non abitabile almeno frequentabile (e con una legittimizzazione culturale alta: per coloro che leggevano i fumetti all’insaputa dei propri genitori una bella rivalsa).

06VISSINM_Iron Man by Adi Granov

Ed è proprio la natura crossmediale della mostra, la sua dimensione squisitamente metalinguistica, l’aspetto più convincente dell’intera operazione. Divisa in percorsi tematici per supereroe, il visitatore è accolto da schermi a circuito chiuso dai quali Stan Lee reputa realistica l’idea che un giorno si possano erigere monumenti per celebrare Capitan America, Thor e Iron Man proprio come una volta si scolpivano statue per onorare Apollo e Giove. Intitolata The Art of the Marvel Super Heroes, l’esposizione si presenta come un doppio percorso. Da un lato la scoperta dei retroscena dei film con oggetti visti all’opera al cinema (lo scudo di Cap, il martello di Thor, il casco di Iron Man senza contare una gustosa anticipazione del prossimo I guardiani della Galassia) e le tavole giganti di Adi Granov, Charlie Wren e Ryan Meinerding (responsabili del Visual Development) servite per immaginare cinematograficamente all’opera i supereroi. Dall’altro, invece, un percorso in bianco e nero che dalle origini delle Marvel, ci sono addirittura originali di Namor di Bill Everett dall’inequivocabile sapore «alexraymondiano», conduce sino alle ultimissime generazioni di talenti che hanno iniettato nuova vita nelle creature di Lee e Kirby.
Tra questi spiccano senz’altro il francese Olivier Coipel, aria da b-boy dalla mano velocissima e Aleksi Briclot, tratto pittorico e spiccato gusto fantasy. Sono le tavole dei maestri, però, a suscitare le emozioni più acute. Osservare da vicino la volumetria di Jack Kirby, le modalità attraverso le quali la bidimensionalità della pagina è costantemente sfidata, l’energica armonia fra racconto, decoupage e movimenti delle figure è ancora fonte di stupore. A Kirby s’affianca Steve Ditko, l’altro nome imprescindibile della Marvel. A lui si devono i primi numeri dell’Uomo Ragno prima che John Romita lo reinventasse attraverso il suo tratto inconfondibile. E poi c’è la potenza di John Buscema, detto anche il Michelangelo della Marvel, inconfondibile e modernissimo nella sua classicità. Encomiabile l’ampio spazio concesso a Don Heck, personaggio chiave che con Stan Lee ha creato Iron Man. Fra i classici degli anni Settanta impossibile non citare il maestro Gene Colan il cui lavoro per Devil e The Tomb of Dracula ha fatto scuola e Gil Kane, cui si deve la creazione grafica di Morbius, Warlock e, soprattutto, Pugno d’acciaio.
Sul versante degli artisti più esoterici, amatissimi dai fan attrezzati filologicamente, si nota purtroppo la presenza di una sola tavola di Jim Steranko: Nick Fury smarrito in paesaggio che cita espressamente Salvador Dalì e le fughe prospettiche di Giorgio De Chirico. Un capolavoro. Meglio rappresentato il geniale Bill Sienkiewicz che ha avuto il merito di rilanciare negli Stati Uniti la testata moribonda dei New Mutants. Frank Cho, dal canto suo, autore dell’irresistibile Liberty Meadows, è rappresentato dalle matite di una sua magnifica tavola optical con protagonisti gli X-Men. Un discorso a parte merita Alex Ross, il cui inconfondibile stile monumentale sembra essere pensato per la galleria di un eventuale pantheon supereroistico. Poco rappresentati purtroppo i talenti italiani, che pure hanno giocato un ruolo di primissimo piano nel rilancio della Marvel, la cui presenza si limita all’eccezionale Gabriele Dell’Otto e all’ottima Sara Pichelli della quale è in corso di pubblicazione per la Panini il magnifico New Spider-Man della linea Ultimate Comics scritto da Brian Michael Bendis.