Memorabile impresa quella di portare in sala d’incisione il sapere musicale, la forza espressiva e il virtuosismo di poeti cantori itineranti Amazigh del Marocco, i Rrways e le Tarrwaysin (l’equivalente femminile) che un tempo guidavano le compagnie di musicisti e danzatori che vagavano per i villaggi e città dell’Alto Atlante occidentale, dell’Anti-Atlante e del Souss. Le prime testimonianze sui poeti cantori itineranti e la loro arte (tirruysa) risalgono presumibilmente allo scorcio finale del XIX secolo. Se è vero che nelle comunità berbere del sud del Marocco, la musica ha sempre avuto un ruolo centrale nella vita sociale, d’altra parte la pratica dei poeti cantori è il risultato di cambiamenti interni alle comunità berbere di fronte ai rivolgimenti economici e politici del Marocco di fine Ottocento e si costituisce come aggregato di comportamenti artistici, musicali ed estetici.

IL TERMINE rrays (il cui plurale è rrways), prestito dalla lingua araba che significa «capo» o «padrone», si riferisce a cantanti professionisti che si esibiscono in troupe che, oltre al compositore e direttore, suonatore della viella monocorde ribab, annoverano diversi musicisti alle prese con vari strumenti, tra cui il liuto a tre corde lutar, il taswisit, un altro liuto di foggia minore e dal registro più acuto simile al ngoni subsahariano, l’hajhouj, che non è altro che il guembri usato anche dai musicisti Gnawa, le percussioni metalliche nnaqus, i sonagli di rame nwiqsat, i tamburi a cornice allun e bendir, i tamburi tbilât e ttbel e flauto lewwad. Le compagnie vaganti che compivano il viaggio (amuddu), per il Marocco comprendevano danzatori e anche acrobati (ihiyadden).

DIVERSAMENTE dalla musica d’arte e popolare imperniata sul sistema del maqâm e dei micro-intervalli, pilastro della musica Amazigh è la scala pentatonica, articolata in quattro diversi modi, anche se alcuni artisti sono influenzati dai modi egiziani, libanesi e iracheni o, ancora, dalle strutture eptatoniche occidentali. Espressi nel tamazight, idioma berbero parlato nell’Alto e Medio Atlante e nella regione del Sud-Est, e nel tachelit, caratteristico della regione del Sus e della parte meridionale dell’Alto Atlante, i canti trattano tematiche come l’amore, la natura o il rispetto di Dio. Però, nella poetica amarg berbera trovano spazio anche motivi contemporanei, tra cui l’attenzione rivolta ai cambiamenti sociali, al dolore dell’emigrante o alle aspirazioni delle nuove generazioni. La performance si compone di più fasi: a un’introduzione strumentale che dà la nota melodica di base segue la poesia cantata, che prevede sequenze improvvisative che costituiscono il cuore dell’evento, in cui un coro ripete in forma responsoriale le strofe poetiche. Successivamente, parti danzanti si alternano al canto e ad altre transizioni strumentali in un crescendo ritmico che porta alla conclusione dell’esibizione.

ARTEFICE e direttore del progetto di documentazione discografica è Brahim El Mazned, uno dei più importanti operatori culturali del Maghreb, direttore dell’Expo Visa for Music, osservatorio sulle musiche del Maghreb, del Medio Oriente e del continente africano, che si volge nella capitale Rabat, e che aveva già lavorato in passato alla produzione di un’altra ponderosa raccolta rivolta al repertorio della musica Aïta.
In un certo senso il progetto è anche il portato della pluralità culturale del Marocco, riconosciuta dopo il nuovo assetto costituzionale del 2011 con cui la lingua berbera è diventata una lingua ufficiale del Regno. L’antologia Rrways, Voyage dans l’univers des poètes chanteurs itinérants amazighes, prodotta dall’associazione Atlas Azawan e dall’organizzazione culturale Anya, è l’esito di due anni di meticolosa ricerca e di considerevoli ore di registrazione che hanno portato a selezionare 100 brani che compongono il box di dieci cd accompagnati da libretti plurilingue (arabo, francese e inglese) di oltre 120 pagine ciascuno, corredati da numerose immagini, vere e proprie guide didattiche di conoscenza, che tracciano le origini della musica dei Ṛrways, le sue caratteristiche, l’interesse manifestato da viaggiatori e studiosi sin dai primi del Novecento, il rapporto con la millenaria arte performativa dell’Ahwach, le sue rotte interne e diasporiche, la sua evoluzione in relazione al cambiare della società marocchina. S

SI INCONTRANO biografie meravigliose che presentano sia le grandi personalità del passato (uno su tutti: Lhaj Belaïd, tra i primi artisti professionisti, i cui dischi a 78 giri sono oggetto di culto tra i collezionisti) sia cantanti e strumentisti che hanno preso parte al progetto. Occorre ricordare che questi stili e repertori hanno presto interessato l’industria discografica con incisioni per etichette come Pathe-Marconi e Baïdaphon (sotto il protettorato francese) e, poi, Boussiphone e Warda Vision (dopo l’indipendenza del Marocco) per poi seguire l’evoluzione dei supporti discografici. Con le accelerazioni storiche e socioculturali dalla prima metà del Novecento, da pratica comunitaria l’arte dei poeti e delle poetesse, emerse nel frattempo a tal punto da assumere ruolo di primo piano in questo genere, ha eletto a proprio palcoscenico le piazze delle città, divenuti spazi sonori pubblici e scenario delle performance ritualizzate di arti popolari, a cominciare dalla famosa Jemaa El-Fna di Marrakech, ma anche di altre città berbere come Tiznit o delle più cosmopolite Agadir e Casablanca.

RINUNCIANDO ALL’IDEA originale di fissare sul campo con uno studio mobile le pratiche musicali di Rrways e Tarrwaysin, è stato deciso di convogliare in sala circa 80 artisti, tra cui 49 cantori provenienti da diverse città hanno registrato per quasi tre mesi allo studio Hiba di Casablanca repertori antichi e contemporanei cantati in tachelit. Per molti artisti si è trattato di un ritrovarsi dopo tanto tempo; si è messo in atto uno spirito emulativo che ha rinsaldato di fronte ai microfoni della sala il grado di tensione e l’espressività.
Si tratta di un’esperienza d’ascolto di forte suggestione, avvertita a mano a mano che si snodano i dieci dischi, nei quali si alternano i performer più rappresentativi del genere, dalla diva Rkia Talbensirt, cinquant’anni di carriera e grande ispiratrice per le cantrici di oggi, al veterano Lahcen El Fetwaki, da Moulay Ahmed Ihihi, che a soli dieci anni era già al seguito delle troupe di trovatori e acrobati del sud marocchino, a un caposcuola come M’hand Ajoujguel fino alle nuove generazioni quali lo strumentista Hassan Boumlik o le giovani interpreti Zahra Yassine e Keltouma Tamazight.
Per Brahim El Mazned occorre valorizzare questa manifestazioni musicali. Se è vero che l’arte di Rrways e Tarrwaysin rischia di scomparire, si avverte, la necessità di documentarne modi espressivi e repertori: siamo di fronte a un’arte che, avendo conservato l’essenza, pur adattandosi ai cambiamenti della società, crea un potente legame tra passato e presente. È una pratica musicale che costituisce un «vettore di identità», centrale nell’elaborazione di una consapevole memoria collettiva, ma anche un modello da trasmettere alle nuove generazioni di artisti che iniziano a fondere la poetica amarg dei cantori con altri stili musicali.