His Clancyness è il gruppo nato come progetto solista di Jonathan Clancy, musicista italo-canadese nato a Ottawa ma che ormai da moltissimi anni vive a Bologna. Città che ha accompagnato tutte le sue esperienze musicali, dai precedenti gruppi Settlefish e A Classic Education (tra le band dal respiro più internazionale viste in Italia negli ultimi anni), all’organizzazione di un festival bellissimo, pronto per la decima edizione come l’Handmade di Guastalla, fino al lavoro come speaker a Radio Città del Capo (di tutto questo si è occupato anche un documentario recente, Semitoni, che segue alcune band indipendenti italiane). Bologna che in tutta risposta riconosce ormai gli His Clancyness come una delle sue band più rappresentative, prova ne sia la data sold out al Tpo lo scorso gennaio.

Anche se il nome del gruppo può far pensare a un eccesso di ironica autoreferenzialità, gli His Clancyness suonano nel nuovo Isolation Culture come un gruppo affiatatissimo, nonché uno dei più interessanti dal vivo anche in virtù degli oltre 300 concerti seguiti al precedente Vicious, uscito per Fat Cat Records (e scusate se è poco). Il nuovo disco suona quanto mai maturo e personale, con quell’art-pop-noise esattamente a metà tra il mondo lo-fi delle registrazioni casalinghe e le sperimentazioni da studio, di cui il primo singolo Pale Fear è l’esempio lampante, «con parti incise inizialmente su un registratore a quattro piste, che poi non siamo più riusciti a riprodurre in studio, e che dunque abbiamo deciso di tenere così: è uno dei brani più caratterizzanti, perché rappresenta precisamente quello che proviamo a fare sempre, cioè unire la forma canzone con la sperimentazione sonora».

Al lavoro con His Clancyness, oltre a Jonathan Clancy, ci sono Giulia Mazza (già con A Classic Education, oltre che fotografa autrice dell’artwork di Isolation Culture e da diversi anni compagna di Clancy), Jacopo Borazzo, l’unico torinese della band, un tempo attivissimo con i Disco Drive, e Nico Pasquini, chitarrista nei Buzz Aldrin e ora all’opera anche con il suo personale progetto drone-ambient chiamato Stromboli. «Anche noi dentro al gruppo sentiamo che questo è forse il nostro lavoro più riuscito, quello più a fuoco» spiega Jonathan, «e forse la spiegazione è nel sentirci più che mai una band, grazie ai moltissimi concerti fatti assieme negli ultimi tre anni, e nell’approccio completamente diverso al disco, nato nella nostra sala prove, per piccole intuizioni e tentativi portati avanti con tutta la strumentazione che avevamo a disposizione, oltre che per esserci lasciati finalmente andare senza sentire il confronto con le cose passate».

Questa propensione ad affrontare il discorso musicale in modo personale e insolito è forse ciò che in misura maggiore Jonathan è riuscito a infondere all’etichetta fondata un paio d’anni fa (con cui è uscito anche Isolation Culture), quella Maple Death Records che con poche uscite si è già ritagliata un ruolo importante per quanto riguarda i lavori di artisti singolari, con dischi in grado di comunicare a tutto il mondo eppure con radici ben localizzate. Tra questi troviamo lo stesso Stromboli, Krano (ex chitarrista dei Vermillion Sands e Movie Star Junkies) che ha esordito con un album di poetico cantautorato folk in dialetto veneto, oppure Havah, progetto solista dark-wave cantato in italiano da Michele Camorani (batterista che viene dall’hardcore di band come La Quiete e Raein).

«Sono tutti artisti che definirei come degli outsiders, con una storia molto forte, che spesso va anche aldilà della musica» racconta Jonathan, «hanno tutti una loro particolarità, una loro specificità anche molto locale, come Krano che canta in dialetto o Michele degli Havah che sta portando avanti un discorso importante sui partigiani emiliani. Ma questo approccio inserito nel contesto musicale riesce ad essere innovativo, è qualcosa di diverso e di estremamente personale, che li fa distinguere dalla marea di band che suonano questi stessi generi. Tutti noi abbiamo l’idea di non guardare troppo ai confini. È chiaro che in Italia rispetto ad altri posti è più difficile, ma il successo degli ultimi dischi mi rende proprio per questo ancora più orgoglioso».