C’è chi dice no. No ai soprusi, alla colonizzazione di un territorio, al Mediterraneo come cimitero di bombe al veleno. Oggi la Piana insorge e manifesta contro l’arsenale siriano. In rotta verso il porto di Gioia Tauro, ma che qui nessuno vuole. A parte i soliti noti. Quelli che barattano la dignità di un popolo e l’ecosistema con finte promesse di «sviluppo» e «occupazione». Chimere a queste latitudini, servite però a spaccare il fronte della protesta. Nella rete del sì finiscono Cgil regionale e Sel locale, in cattiva compagnia con il Pd, la destra e il presidente Scopelliti.

Tacciono storiche organizzazioni ambientaliste come Legambiente e Greenpeace. Non tace il popolo. Che stamane da piazza Nunziante a San Ferdinando si mette in marcia verso le banchine del porto. Presenti associazioni, comitati a difesa territoriale, centri sociali, portuali del Sul, i sindaci, e quel che resta della sinistra politica. Insieme alle mamme di San Ferdinando che qualche giorno fa con una catena umana hanno cinto le scuole dei loro figli per protesta. «Qualcuno ci spieghi perché dovremmo subire sempre e comunque decisioni calate dall’alto in nome di interessi cosiddetti superiori – dice Pino Romeo, tra gli organizzatori della mobilitazione – mentre chi è in disaccordo e alza la testa viene additato come antistorico, antidemocratico, persino sabotatore. Ma qui nessuno ha la sveglia al collo o l’anello al naso. Vogliamo solo chiarezza, pretendiamo verità». Troppi i buchi neri in questa storia. Intanto, perchè il Governo non ha ritenuto di far intervenire a Gioia il centro italiano di Civitavecchia, l’unico autorizzato dall’Opac al trattamento delle armi chimiche? E perché non far svolgere l’operazione proprio a Civitavecchia? Perché scegliere Gioia, porto commerciale-civile e non militare? Le verità nascoste sull’operazione scottano.

Ad oggi nessun piano di messa in sicurezza della popolazione è stato presentato dai ministri Lupi e Bonino. «Stamperemo un opuscolo e lo diffonderemo alla popolazione» avevano detto da Roma. Qui invece hanno tutti paura. Sanno di trovarsi in un’area priva di idonee strutture sanitarie in caso di incidente. E «i rischi ci sono benchè si tenda a minimizzare» come ha scritto su queste pagine l’autorevole trasportista, Domenico Gattuso. Maneggiare armi tossiche financo mortali è di per sé pericoloso. E a Gioia si dovrà necessariamente far passare le armi attraverso le banchine giacchè le navi coinvolte non sono navi container, ma imbarcazioni con portellone e carico orizzontale. Insomma, lo stoccaggio di tonnellate di composti chimici di cloro, fluoro, gas sarin e mustarda è foriero d’ansia. Altro che «trasbordo ordinario» come lo ha definito irresponsabilmente Lupi.

I gioiesi hanno chiesto a Letta, Bonino e allo stesso Lupi di esser quantomeno presenti durante i giorni fatidici. No comment da Roma. «Non verranno, hanno paura quanto noi» dicono nella piazza principale del paese. Nel mentre, la Cape Ray, la nave militare Usa attrezzata per la distruzione dell’arsenale, è salpata lunedì sera dal porto base di Norfolk. Lo ha annunciato il Pentagono. Dovrebbe arrivare nello scalo calabrese tra «due o tre settimane», secondo il colonnello Steven Warren. Dalla Siria è partito invece il cargo danese Ark Futura con a bordo le bombe. E con una scorta che fa impressione. A cominciare dall’incrociatore russo, Pietro il Grande. La nave, della classe Kirov, risulta essere a propulsione nucleare. Secondo informazioni pubblicate da numerosi siti di marina specializzati, la Pietro il Grande è armata anche da decine di missili tattici che non è dato sapere se siano a testata nucleare o meno. La scorta consta poi di altre quattro navi da guerra: una britannica, la Hms Warship Montroy, una cinese, la Yancheng, una norvegese, la Hnoms Helge Ingstadt e una danese, la Hdms Esbern Snare. Si avrà quindi una spiccata militarizzazione dell’area dello Stretto, con modalità, tipo di operazione e unità navali straordinarie, e totalmente inedite.

Di fronte a questo scenario di guerra l’insistenza del governo italiano a considerare «ordinaria» l’operazione lascia davvero basiti. Il capo del Pentagono, Chuck Hagel, da parte sua, ha inviato una lettera al capitano, Rick Jordan, e all’equipaggio di 135 uomini della Cape Ray, per annunciare che sono partiti per una «missione storica e per compiere quel che nessuno ha mai fatto: distruggere in mare una delle più grandi riserve mondiali di armi chimiche e aiutare a rendere il mondo più sicuro».