Breezy, arioso. È una parola che appare in molti dei necrologi usciti ieri con l’annuncio della morte di Larry King, per descriverne lo stile giornalistico. Ricorrente è anche la cifra, 50.000, riferita agli ospiti/intervistati distribuiti nell’arco della sua carriera, spesa in gran parte, dopo gli inizi alla radio, dietro alla scrivania del talk show che portava il suo nome e che andava in onda tutte le sere alle 21 su Cnn. Magro e molto allampanato, gli occhietti sporgenti dietro agli occhiali enormi, i capelli più lunghi di quelli dei più ingessati anchor dei network, e le leggendarie bretelle ben in vista sopra la camicia, King – mancato a 87 anni, al Cedar Sinai di Los Angeles dove era stato ricoverato per Covid – sembrava sempre un po’ appollaiato dietro a quella scrivania. Ma l’effetto vagamente avvoltoiesco del quadro era l’esatto opposto della dinamica che lui instaurava negli scambi con chi gli stava davanti – discorsiva piuttosto che confrontational, amabile invece che rapace.

NON IMPORTA se di fronte a lui c’era un presidente (Clinton rimase il suo favorito; sperava in una sua elegia funebre), un controverso leader straniero (fu uno dei pochi conduttori Usa a intervistare più volte Ahmadinejad), un criminale, una star del cinema o della musica: lo scambio avveniva quasi sempre in un’atmosfera di benevola urbanità, senza stridori. Persino i rari colpi di scena (Ross Perot annunciò la sua candidatura alla presidenza durante un’apparizione al Larry King Live) risultavano patinati di quel gloss che – con un effetto Esperanto, un po’ tipo musica da supermercato – fecero di King un teleconduttore così seguito in tutto il mondo. A chi gli chiedeva come lavorava, lui amava dire che per le interviste non preparava nulla e improvvisava sul momento. Che fosse vero o meno – sembra difficile per un professionista di quel livello e longevità, anche se negli ultimi anni ogni tanto appariva confuso – le sue domande avevano sempre più il taglio «dell’uomo comune» che quelle di un reporter d’assalto. Astutamente generiche, strategicamente indirette, e condite ad arte di un atteggiamento di scherzosa deferenza, le inquisizioni di King raramente mettevano un ospite in difficoltà, o anche solo in imbarazzo.

Larry King con Mike Tyson nel 1995. Foto Ap

LA GARANZIA di quelle che i reporter di qui chiamerebbero softball questions, unita al suo atteggiamento starstruck (l’incredulità di un ragazzo di origini piccolo borghesi nel trovarsi di fronte a tanta celebrità) lusingava gli ospiti e faceva del Larry King Show un luogo sicuro per esporsi ai media senza troppi danni, anche quando uno era nei pasticci -come Hugh Grant dopo essere stato arrestato mentre cercava di assoldare una prostituta transessuale su Hollywood Boulevard. Questo suo essere una corsia preferenziale degli uffici stampa non lo rendeva amatissimo ai colleghi. Secondo un suo profilo apparso qualche anno fa sul magazine del «New York Times», la columnist del quotidiano, Maureen Dowd, avrebbe battezzato il Larry King Show «il luogo di villeggiatura del giornalismo americano». Lui stesso, d’altra parte, aveva definito senza vergogna il suo brand come infotainment, ovvero una combinazione di informazione e intrattenimento. Non a caso una delle storie che più definirono le prime fasi del programma (in onda dal 1985 al 2010), e che ne determinarono il successo, fu quella del processo a OJ Simpson. «Se abbiamo in scaletta Dio e OJ accetta di apparire, spostiamo Dio», è una nota citazione kinghiana.

CON GLI ANNI quel suo ibrido di informazione e di intrattenimento è stato progressivamente riassorbito, e riprogrammato in chiave di satira, da talk show di tarda serata, come il Daily Show di Jon Stewart, o il più recente Tonight Show di Steve Colbert. Sulle reti via cavo all news, dove lui ha fatto storia, oggi vige una regime giornalistico che è contemporaneamente più fazioso e più interessato ai reportage d’assalto. Nato a Brooklyn in una famiglia di immigrati dell’Europa dell’Est Larry King non è mai nemmeno stato iscritto in un un’università. Si è sposato sette volte, con donne una più bella, bionda, magra e alta dell’altra. Come le bretelle, il sigaro e le gaffe erano parte del personaggio.