Quando il primo emendamento della costituzione americana non era ancora il cavallo di battaglia del team legale di Donald Trump c’era Larry Flynt. Pornografo, magnate dell’editoria a luci rosse, improbabile paladino della libertà di parola e di stampa, nemico storico della Moral Majority e un classico anti eroe del folclore a stelle e strisce, il fondatore di Hustler, immortalato, nel film di Milos Forman Larry Flynt – Oltre lo scandalo con una simpatia che suscitò le ire di Gloria Steinem, è mancato mercoledì nella sua casa di Los Angeles, causa un attacco cardiaco. Aveva settantotto anni.

«SE IL PRIMO emendamento protegge un sacco di merda come me, protegge anche tutti voi» era il suo mantra. Nato a Lakeville, in Kentucky, il primo novembre del 1942, Flynt abbandonò la scuola a quindici anni per arruolarsi con un certificato di nascita falso. Lasciata la marina, nel 1962, acquistò il bar di sua madre, poi altri due e poco dopo aprì il suo primo club con cameriere/spogliarelliste. A quello originale seguirono presto degli Hustler Club in altre città del Midwest. La newsletter a base di immagini di donne nude che usava per promuoverli si trasformò, nel 1974, nella rivista che lo rese famoso e ricchissimo. Il primo milione di copie lo totalizzò dopo aver acquistato, e pubblicato, una foto di Jackie Kennedy-Onassis nuda su una spiaggia greca.

BIZZARRO MIX di hardcore aggressivo, satira alla Mad e occasionali crociate politiche, Hustler sviluppò fin dall’inizio un brand più cattivo, viscerale, ostensivamente immorale e meno patinato/conciliatorio di riviste come Playboy e Penthouse. Invece di essere adornate di orecchie di coniglietta e fotografate in lusinghiero flou, le donne di Hustler ogni tanto apparivano infilate a testa in giù in un tritacarne (come nel leggendario numero del giugno 1978), al guinzaglio, o impegnate in orge. La rivista uno specchio della personalità conflittuale, istrionica ed extra-dark del suo ideatore, nel sua coverage a sfondo politico, Hustler poteva spaziare tra le teorie del complotto sull’omicidio di JFK, un esposé contro la tortura e «Invasione: la vera storia di Grenada dietro ai “fatti” di Reagan». Dalla sedia a rotelle placcata d’oro a cui lo costrinse, a partire dal 1978, la pallottola di un suprematista bianco cui non andava a genio il porno biracial (la sparatoria avvenne durante un ennesimo processo per oscenità indetto contro Flynt, in Georgia) Flynt rimase un emblema indigeribile (e in digerito tutt’oggi) della rivoluzione sessuale anni settanta.

LA SUA VITTORIA legale più famosa probabilmente quella contro il reverendo Jerry Falwell, ideatore della Moral Majority e un gigante della destra evangelica, che nel 1983 denunciò Hustler per calunnia e danni emozionali dopo la pubblicazione di un pezzo/parodia in cui «Falwell» ricordava l’incontro sessuale avuto con sua madre in un bagno rudimentale. La giuria del processo bocciò l’imputazione di calunnia: l’articolo era chiaramente non fattuale. E, nel 1988, la Corte suprema stroncò anche la causa per danni, decretando che l’articolo rientrava nella satira politica, costituzionalmente protetta.
La scena è riprodotta nel film di Milos Forman, per cui Woody Harrelson (nei panni di Flynt) ricevette una nomination agli Oscar. Flynt definì quella sentenza la più importante vittoria del Primo emendamento a partire del 1930, quando venne revocato il bando per oscenità all’Ulisse di Joyce. Chissà se oggi il suo processo avrebbe lo stesso esito.