Da 14 anni il tacito accordo trasversale per debilitare il piano paesaggistico della Sardegna. «Il Ppr un sopruso» – secondo i suoi detrattori. Immemori delle sentenze che ne hanno certificato legittimità e ragionevolezza. E del referendum 2008 convocato per abrogare la “legge salvacoste”, sconfessione del racconto sulla insofferenza popolare verso quella scelta (solo 20% i partecipanti tra cui non pochi i favorevoli a mantenerla).
E così il Ppr ha resistito ad assalti maldestri. Dalla controriforma-flop tentata dalla destra al tempo di Cappellacci agli imbarazzati spintoni di sedicenti sinistre. La giostra di pianicasa – copyright Berlusconi – nello sfondo il racconto ingannevole dell’interesse generale: la cameretta in più per tutti = scorribande speculative per alcuni.

IL CORTOCIRCUITO auspicato per rimettere in corsa progetti in danno di beni paesaggistici. Un arrembaggio anticostituzionale, altro che lotta per la liberazione dell’isola dal totalitarismo di Soru. Né c’entra la difesa dell’Autonomia, come ha spiegato più volte la Corte. Ad esempio con la sentenza 189/ 2016: la conferma che le norme sul paesaggio sono prevalenti sulle disposizioni regionali urbanistiche, visto che «gli interventi edilizi (…) non possono essere realizzati in deroga né al piano paesaggistico regionale, né alla legislazione statale».
I chierici del calcestruzzo Lega-4mori insistono per agire contro il Codice dei beni culturali, quindi in difformità dall’art. 9 della Carta. Le dichiarazioni d’amore sardiste per l’isola nascondono il programma di svendita delle sue terre più preziose. D’accordo con l’idea confindustriale dell’edilizia brum-brum per trainare l’economia: il jingle noto, inquietante nel clima postCovid.

LA CURA è il cantiere forever nelle aree più pregiate. Dove capita di vendere una casa al ricco russo a prezzi da sballo, grazie alla vista del mare che mettiamo noi tutti. L’aspettativa di fare fortuna nelle riviere, all’origine dello spopolamento del centro dell’isola, gulp.
Ma è necessaria altra edilizia in Sardegna? Gli alberghi contano su un indice di occupazione poco sopra il 50% d’estate, prossimo a nulla nel resto dell’anno. Un azzardo immaginare oggi altre case-vacanza. Tanto più con quel deficit di collegamenti da-per l’isola su cui si è fatto e si fa poco o nulla. La solita faciloneria del paleocapitalismo all’ italiana, direbbe Giorgio Nebbia. Su cui dovrebbe riflettere il centrosinistra isolano, fautore di norme un po’ meno peggio.
Non è uno scandalo che Solinas&Salvini vogliano cambiare il Ppr. Ma è inammissibile il procedimento deciso ieri; che sfugge all’obbligo della pianificazione surrogata da interpretazioni del Consiglio. Un’aberrazione il piano intaccato da decisioni estemporanee, prive del coordinamento che solo un piano assicura. Penso all’idea della maggioranza di consentire a chiunque, pure privo dei requisiti di imprenditore agricolo, l’utilizzo delle campagne per finalità abitative, dove si dovrebbe casomai incentivare la realizzazione di caseifici e cantine vitivinicole.

MA ECCO IL PRETESTO– messinscena. La strada a 4 corsie Sassari-Alghero sulla quale pendeva un giudizio ministeriale per via della norma Ppr: impedire inutili collegamenti litoranei. Facile dedurre che non c’era in quella disposizione alcuna volontà di lasciare incompiuta la viabilità regionale già programmata; e infatti il Ppr fa salve le strade per le quali siano già in corso valutazioni da parte di organi tecnici. E su questo pare si fondi il responso del governo Conte.
Stop al bluff di Solinas & C. Stop al proposito di interpretazione del Ppr oltre l’argomento capzioso della strada, mirato invece a eliminare i vincoli relativi a fascia costiera, agro, beni identitari. Per i quali il Ppr 2006 ha prescritto la tutela, in quanto valori sostanziali del paesaggio sardo. Un livello di protezione rigoroso, più di quanto disposto dal Codice. E su cui gli organi statali hanno convenuto, prima che la legge richiedesse, nel 2008, la cosiddetta co-pianificazione Stato-Regioni. E di cui si dà atto nella Delibera di approvazione del Ppr 2006; con espresso richiamo alla «impostazione concordata con gli organi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali nei diversi incontri effettuati».

INAMMISSIBILE che una spiccia esegesi giunga a trascurare la circostanza – evidenziata da molti– che possa riguardare la decisione di un soggetto istituzionale diverso. Più grave se si sconfinasse oltre la necessità di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» – come ha detto la Corte nelle sentenza 308/2013. Sarebbe arbitrario, presumo, estromettere il Mibact da decisioni sugli assetti già disposti dal Ppr. Su cui il Ministero aveva avuto modo di esprimersi: all’interno della procedura di pianificazione, in grado di spiegare le interazioni tra beni paesaggistici indicati nell’articolo 143, comma 1 b,c,d, e quelli individuati dalla Regione. Il percorso attraverso cui modificare le originarie regole del Ppr – con un’eventuale riduzione delle tutele paesaggistiche – dovrà necessariamente motivare le scelte attraverso un’analisi di pari accuratezza. Improbabile senza un’adeguata base cartografica. É quindi auspicabile che la Regione, svolga i giudizi attraverso la pianificazione – come prevista per legge. Per dare certezza agli operatori è meglio evitare le scorciatoie, come ha spiegato MariaLaura Orrù che ha guidato l’opposizione resistente in Consiglio in questi giorni.