Spostiamo l’appuntamento all’ultimo, un paio d’ore prima dell’incontro. Mi strafoco un’insalata e alle 14.30 sono all’Ara Pacis. Trovo il fuoco e riesco a fumare una sigaretta. Faccio una partita a quiz duello. Aurelio Picca mi chiama che ha appena imboccato il lungotevere: «Sto arrivando». Salto su una Lexus scura, forse blu, ci capisco poco di macchine, mi accorgo solo che è una macchina sportiva fichissima, rasoterra, lucidissima, poso il mio didietro su sedili color carne. Dopo un paio di giri Aurelio decide di lasciare la macchina fuori dall’hotel Locarno, scrivendo un bigliettino che si rivelerà subito una menzogna: «Siamo al bar per dieci minuti». Sediamo entrambi sul lato del divanetto tappezzato rosso e bordeaux dal motivo floreale. Ordiniamo due thè. Nell’attesa noto il bel dolcevita grigio e nero a righe, i due anelli agli anulari, uno con il dio Anubi («Lo conosci, no? È il dio dei morti»), uno con un ovale pieno di diamantini. Accanto ha posato un cappotto di Astrakan nero. Accendo la registrazione. Mentre pronuncio la prima domanda apprezzo il suo ripetere con gradimento il nome dello scrittore che cito (e che amo).

 

 

 

William Somerset Maugham scrive: «Per ogni minuto che passiamo in preda alla rabbia, perdiamo sessanta secondi felici». Quante ore pensi di aver perso nella vita in uno stato di ira?
Beh abbastanza, sono iroso, sono come Achille, per motivi futili, non per motivi importanti. Mi è capitato proprio sabato, quelle persone che ti dicono: «Aurelio, domani ti porto questa cosa e facciamo questo lavoro», poi vengono ed è tutto il contrario, ecco lì divento una belva. Se qualcuno poi si frappone tra un mio desiderio e la sua realizzazione, mi fa diventare una belva, anche se non dipende da me perché divento ostaggio degli altri, della realtà, mi fa proprio arrabbiare tanto.
Consideri la rabbia un sentimento negativo o positivo?
Secondo me è positivo, ma non perché io mi arrabbio… L’iroso è una persona che è anche molto paziente perché ha il controllo delle situazioni, capisce le debolezze altrui. Mi fa incazzare quando le persone fanno finta di essere forti e poi sono deboli. Preferisco la debolezza, mi fa tenerezza, io pure la dimostro, per quale ragione non farla vedere? Credo che da una parte si perde molta energia ad arrabbiarsi, dall’altra però si scarica pure, non vorrei perdere questa energia … Vorrei non arrabbiarmi mai, è una perdita di tempo, alteri il tuo corpo, alteri la tua voce, il metabolismo pure si altera, io se mi arrabbio tanto, per esempio, al mattino non vado al bagno (Ridiamo).
È che ci metto tanto il corpo, non ci metto solo la testa. Come gli animali che si arrabbiano, la rabbia è proprio degli animali, è un istinto, ti attraversa, è proprio del dna, il tuo organismo fa scintille, non ne resta immune.

 

 

Ti ritieni un iracondo (quindi, secondo Dante, finiresti collocato nel quinto cerchio dell’Inferno)? L’ira e la pigrizia pari sono?
No. Non li avrei messi insieme. Preferisco gli iracondi ai pigri. Per quanto sono in contraddizione in questo perché sono anche un pigro. Se stessi solo con me stesso non sarei né pigro né iracondo. Sono un solitario, un capricorno, sono abbastanza organizzato nella mia testa a parte le cose pratiche che non voglio fare perché sono pigro, sono gli interventi esterni che mettono in discussione… Essere iracondi ha un elemento di onestà, perché uno potrebbe benissimo essere abbastanza ipocrita o ironico o menefreghista da far finta che… Quindi secondo me un vero iracondo è uno che vorrebbe sempre dialogare alla pari, essere liberale, trovare una soluzione alle cose perché l’iracondo ama l’armonia, in realtà.

 

 

 

Come vivi il momento in cui senti montare la rabbia? Esce fuori violenta come un’esplosione, o silenziosa come un peto che implode?
Violenta. Una volta ho preso un armadio di forza e l’ho scaraventato dalle scale, ho sfondato due o tre porte. La cosa curiosa, non so per gli altri come funziona, ma io sono lucidissimo, sangue freddo, ho il sangue del rettile, non sono un mammifero, vedo tutto quello che c’è da distruggere, perché non voglio accettare la disarmonia. Si dice «perdere il lume della ragione», io tutt’altro, entro in azione, divento un guerriero, un animale, un guerrigliero.

 

 

Ne sei divorato o te la magni?
Tutt’e due, si subisce la rabbia e la si fa subire.

 

 

Esiste anche un’accezione positiva – lavorare con rabbia – come sinonimo di accanimento, di tenacia. Nel tuo studio (se scrivi in uno studio) quando lavori, sei preso da un fervore tale da essere definito «lavorare rabbiosamente»? Te lo chiedo perché un po’ ti ci vedo…
No, lavoro concentratissimo, e pur accettando le interferenze, subito mi irrito, se entra qualcuno lo caccio, non mi metto a parlare, se sono veramente concentrato.
Non necessariamente la rabbia è legata alla creatività, ma di più alla sessualità, può esserlo, all’affettività. Non ho bisogno di essere arrabbiato per essere creativo, al limite mi squilibra, non potrei scrivere arrabbiato. L’esplosione è creativa, come una tempesta, ma la rabbia non può essere usata come motore di scoppio, non produce, almeno per me… Mi arrabbio con me stesso spesso, lì va in gioco un combattimento particolare. Non so se è più forte il senso di rabbia o il senso di colpa che ho con me stesso. I sensi di colpa sono più striscianti, serpenteschi, mi interessano meno, nella rabbia ci sono in ballo io, il senso di colpa è più spesso verso altri.

 

 

Buttare fuori la collera può essere, se fatto nel modo giusto, una scelta per vivere meglio. Ma prima il sentimento della rabbia va addestrato, circoscritto in una gabbia, ammansito come una tigre che alberga in noi e va domata secondo le nostre personali regole: tu ci sei riuscito?
Non la voglio domare, non me ne frega niente. Anzi io la vorrei spingere alle estreme conseguenze, indirizzarla da un punto di vista creativo. Infatti ho in mente un libro: un uomo pronto a uccidere e contemporaneamente a morire; l’estremo gesto, non è un guerriero ma lo diventa, un gesto più estremo della rabbia. L’opposto del domare. Ha una sua forza ribelle, che sconvolge le regole, coloro che si arrabbiano sono quelli che vogliono sovvertire, non sono rivoluzionari, possono essere dei reazionari a cui rompono i coglioni le regole. Le regole del gioco delle parti, del gioco sociale, secondo me l’iracondo non sopporta le regole. L’azione di rompere le cose è proprio rompere il senso comune. La rabbia è dionisiaca e non apollinea, anche se poi ad Apollo gli rodeva. Tutti gli dei fanno del male se disturbati. È la parte più animale nostra che vuole sovvertire le regole piccine che ci diamo. Con le grandi ci puoi fare meno. Un esempio è che per pigrizia lascio la macchina dove mi pare, se mi fanno la multa lo avevo messo nel conto, perché agire così mi da grande libertà, non mi stressa, non mi fa arrabbiare.

 

 

Usciamo dal Locarno non prima di aver fatto entrambi un passaggio nella lussuosa toilette con i pavoni verde-blu alle pareti e di aver chiacchierato con il concierge riguardo a prezzi e regole dell’albergo. La Lexus scintillante è lì in seconda fila, dove l’abbiamo lasciata. Con il bigliettino in bella vista sul cruscotto e, miracolosamente, senza multa. I vigili non sono passati. Meno male, così Aurelio non si arrabbia. Chi ci crede che l’avrebbe presa bene. Io no.