Il paesaggio agrario italiano era contrassegnato dalla presenza delle siepi. Costituivano il naturale confine tra un terreno e l’altro.
Ce n’erano in tutta la pianura padana e sono state distrutte dall’agricoltura industriale, sradicate per permettere le lavorazioni meccanizzate. Ne ha perso il paesaggio, ne ha perso in biodiversità il nostro patrimonio faunistico e quello vegetale.

Leopardi accenna, nelle Ricordanze, alla lucciola che va errando «appo la siepe» presso la siepe ed a ragione, non dimenticando il posto mirabile che una siepe ha in quella che è certamente la più bella lirica della poesia italiana, l’Infinito. E’ tra le siepi che le lucciole si riproducono, oltre alle lucciole una infinità di piccoli animali vi hanno la tana, il nido.

Il paesaggio più caratterizzato dalle siepi è il bocage normanno. Esposta ai venti forti provenienti dall’Atlantico, il sistema di coltivazione a bocage, ovvero a spiazzi tra le siepi, aveva lo scopo di frenare la forza delle tempeste: una siepe, molto meglio di un muro, attutisce gli effetti del vento. Un muro, superficie dura, semplicemente, lo rimbalza, rimandandolo senza averne attenuato l’impeto. Le siepi invece abbattono i rumori, proteggono la nostra intimità senza necessità di recinzioni costose, specialmente lungo le strade, trattengono le polveri che altrimenti, respireremmo noi.

I regimi dittatoriali hanno una vera e propria mania «siepicida». In Italia il fascismo, durante la guerra di liberazione, decretò, a carico del contadino, la distruzione delle siepi ai lati delle strade perché favorivano l’appostarsi dei partigiani per le imboscate.

Ed invece un solido sistema di siepi, permette, laddove esiste, nella logica ormai accettata nell’Europa più avveduta e civile, la formazione di corridoi ecologici vitali per il passaggio e la circolazione della piccola fauna. La siepe, anche in ambito urbano e periurbano, è l’elemento cardine del cosiddetto «Terzo paesaggio» teorizzato da Gilles Clément. Proprio lungo le ferrovie, le arterie di scorrimento, lungo le scarpate la presenza di siepi può favorire la nascita di quella vegetazione spontanea che tra il selvatico ed il coltivato contribuisce al rinascere di una naturalità che stiamo perdendo.

Per far sì che questo accada – e ne abbiamo disperatamente bisogno – è necessario che le siepi siano costituite da varietà le più diverse possibili. Tristi e squallidi appaiono e tutti uguali, dei veri e propri non luoghi, i parchi, le aree di ristoro sulle autostrade, i terreni intorno ai condomini, i muri periferici intorno alle fabbriche, dove una sequela di tuie o di laurocerasi costituiscono l’unico verde disponibile.

Eppure, e quanto varie e colorate, profumate, possono essere le infinite specie di piante che si possono coltivare a siepe. Ve ne sono a foglia sempreverde, gli allori, i ligustri, i bossi, i viburni, i pittospori. Avere la più grande varietà di siepi, alternandole, vuol dire procurare cibo e rifugio nelle diverse stagioni dell’anno ad una piccola fauna che, così facendo, torna ad abitare le nostre città. Una siepe di alloro, con le sue drupe lucide e nerastre, una siepe di piracanta, una siepe di ligustri, vuol dire permettere la vita di molteplici specie di uccelli. Anche il nocciolo si può coltivare a siepe con lo stesso scopo.

Ce ne sono che fioriscono in ogni stagione dell’anno, ce ne sono che profumano o che si ricoprono di fiorellini vivaci. Ce ne sono a foglia caduca, come gli ibischi, irti di spine, vere e proprie barriere antisfondamento, come il solo agrume che perda le foglie, il poncirus trifoliata, in inverno mostra i suoi frutti, profumati. Abbiamo il biancospino, che fiorisce in maggio, le gialle forsizie.

Ci sono siepi adatte a tutti i climi della penisola, anche degli arbusti o alberi possono essere adattati e tenuti a siepe: il tasso, il carpino. Erano diffuse nel meridione d’Italia le lunghe siepi di fico d’India, ve ne sono ancora, per esempio, nell’isola di Linosa (poche miglia a nord di Lampedusa), facili da impiantare, è sufficiente mettere a dimora una pala – cladode è il nome specifico – e nel volgere di pochi anni vedremo ricostituirsi una pianta robusta e utilissima.

Sarebbe assolutamente necessario estendere e ripristinare siepi di essenze come questa, resistente alla siccità e provvista di fiori, gradita alle api e con frutti polposi e dissetanti (fantastiche le granite). Maggiore è la varietà e più se ne avvantaggeranno la bellezza del paesaggio ed avremo un alternarsi di fioriture ed anche una fonte di cibo ( piccole bacche) per la microfauna. Bisogna che i progettisti del verde urbano attribuiscano alle siepi il giusto posto che meritano.