Due notti e un giorno dopo la chiusura delle sezioni elettorali il Rosatellum consegna i nomi degli eletti in parlamento. E ancora nessuna maggioranza. Al senato al centrodestra, che avrà 135 seggi, mancano 26 voti. Qualcosa potrà recuperare con gli eletti all’estero ma non più di un paio di voti. Alla camera la distanza è ancora maggiore: Salvini, Berlusconi e Meloni raccolgono 263 deputati (più tre o quattro dall’estero) e restano una cinquantina di seggi lontani dalla maggioranza. Questo malgrado la legge, per via della parte uninominale e soprattutto della soglia di sbarramento (oltre tre milioni di voti redistribuiti tra i sei partiti che hanno superato la soglia) abbia avuto un certo effetto maggioritario.
Per stimarlo si può considerare che il centrodestra con il 37% dei voti ha raccolto il 42% dei deputati in palio (escludendo quindi l’estero) e i 5 Stelle con il 32,7 dei voti il 36% dei deputati, cioè 225. Penalizzato invece il Pd con i suoi alleati, in ragione delle sconfitte nei collegi: con il 22% dei voti la coalizione di centrosinistra raccoglie il 19% dei seggi in palio alla camera, vale a dire 116.

IN ATTESA della proclamazione degli eletti (fermo restando che l’ultima parola spetterà alle giunte per le elezioni delle nuove camere), il Viminale ha messo online i vincitori nei collegi uninominali e in quelli proporzionali; dieci collegi uninominali della camera sono ancora non ufficiali perché alcune sezioni (tutte tra Roma e provincia) risultano ancora aperte, ma le distanze tra i primi e i secondi sono tali che per questo articolo considereremo i risultati definitivi.
Una prima considerazione da fare riguarda il funzionamento della clausola di parità di genere, che obbligava i partiti a non andare oltre il 60% di un sesso nelle candidature e nei capilista. Come si temeva, i partiti hanno fatto un uso spregiudicato della norma, pluricandidando soprattutto le donne e così aprendo la strada a candidati uomini. Nel Pd le pluricandidature sono state quasi solo di donne, e così Maria Elena Boschi è stata eletta nell’uninominale a Bolzano, facendo spazio nel proporzionale a quattro uomini e a una sola donna. Nel complesso il centrosinistra alla camera ha eletto 36 donne su 116 deputati e deputate, circa il 30%; stesso risultato al senato: 18 donne su 58 senatrici e senatori. A palazzo Madama, la ministra Valeria Fedeli, eletta in Campania, ha fatto posto in Lombardia al senatore Alan Ferrari.

TRA CHI HA BENEFICIATO delle pluricandidature, trovando così spazio in parlamento grazie alle rinunce forzate di chi è stato eletto altrove, anche alcuni volti noti del Pd come Ivan Scalfarotto, Matteo Colaninno, Giacomo Portas, Fausto Raciti, Michele Anzaldi e il portavoce di Gentiloni Filippo Sensi. Al senato è la pluricandidatura di Matteo Renzi a fare spazio alla napoletana Valera Valente.
Percentuale di rappresentanza femminile invece perfettamente rispettata (secondo quanto previsto dalla legge per le candidature), almeno alla camera, per il Movimento 5 Stelle, che ha eletto 90 deputate (34 all’uninominale e 56 al proporzionale), cioè esattamente il 40% dei 225 neo deputati e deputate.

I PROBLEMI per i grillini sono casomai altri. Sono stati praticamente tutti eletti i candidati che per un motivo o per l’altro nel corso della campagna elettorale erano diventati «impresentabili» per lo stesso movimento che li ha messi in lista. Dessì al senato, Vitiello, Caiata e Tasso alla camera per quanto riguarda quelli con problemi giudiziari, Cecconi, Martelli, Sarti alla camera e Buccarella al senato per quanto riguarda invece i parlamentari indietro con i «rimborsi»: anche loro sono stati trascinati in parlamento dalla valanga gialla del Movimento 5 Stelle. I deputati Andrea Cecconi e Giulia Grillo sono stati addirittura eletti due volte – erano tra i pochissimi pluricandidati alla camera con Di Maio, Fico e Gallo – contribendo così a far eleggere altri due deputati al proporzionale.

Per quanto i grillini abbiano fatto un uso delle pluricandidature assai più morigerato delle altre liste, il clamoroso risultato conseguito in alcune regioni ha messo in luce uno dei difetti del Rosatellum che alla vigilia veniva considerato dai difensori della legge solo un caso di scuola. Le liste M5S sono cioè risultate in almeno due casi «incapienti», sia in Campania che in Sicilia. In pratica i grillini si sono trovati con meno candidati da eleggere rispetto ai seggi conquistati.
In Campania 1 il Movimento ha raccolto oltre il 54% dei voti validi. Nel primo collegio proporzionale avrebbe per questo diritto a cinque posti, su quattro candidati del listino bloccato. In questi casi la legge prevede che si attinga a un altro collegio proporzionale della stessa circoscrizione, e in Campania 1 ce n’è solo uno con una candidata in teoria non eletta, il secondo. Solo che le pluricandidature di Di Maio e Fico esauriscono ugualmente il listino. Bisognerebbe allora mandare in parlamento anche i candidati grillini sconfitti nell’uninominale. A trovarli, però, perché in Campania hanno vinto tutti, tranne Alessia D’Alessandro – la presunta consulente di Merkel – sconfitta ad Agropoli dal centrodestra. È difficile però che sarà lei a essere recuperata, prima il Rosatellum prevede che si peschi tra i non eletti grillini in altre circoscrizioni. I voti di Di Maio in Campania serviranno così a eleggere qualcuno probabilmente al nord. Così come – la situazione è quasi identica – i voti per Simona Suriano in Sicilia 2 faranno la felicità di qualche altro grillino, che probabilmente ancora non sa di essere diventato anche lui deputato.