Il pericolo di una vittoria della Lega nella regione “rossa” è stato evitato. E anche i suoi probabili effetti sulla tenuta del governo nazionale e le catastrofiche conseguenze che ne sarebbero derivate. In termini percentuali, il distacco di Bonaccini smentisce i sondaggi.

Che restituivano una situazione di sostanziale parità tra i due contendenti. E anche il Pd, con tutte le cautele suggerite da una lettura di medio-periodo, cresce. Due elementi danno conto del risultato: la mobilitazione delle “sardine” che ha spinto al voto i potenziali astenuti e la scelta degli elettori delusi dai 5Stelle di non votare Lega. Pur essendo la seconda più bassa partecipazione elettorale dagli anni ’70, l’affluenza registrata alle regionali è il doppio dell’abisso che aveva caratterizzato il 2014. La mobilitazione ha trascinato il consenso, non il contrario. Come interpretare il risultato? Quale le sua lezione politica e strategica?
La tattica del citofono ha risvegliato la riserva morale della regione, il suo senso civico latente, il codice simbolico che definisce i confini tra ciò che è legittimo e ciò che non lo è. Tattica che ha fatto guadagnare alla Lega meno voti di quanti ne abbia fatti guadagnare al Pd, come mostra il dato sulla città di Bologna.

È interessante rilevare come questa riserva morale sia oggi più attiva nelle ex regioni a subcultura politica “rossa”, che in quelle – come il Veneto – che vengono da una subcultura “bianca”. L’antifascismo e la resistenza hanno, in questo caso, costituito una riserva di valori morali non negoziabili che hanno innalzato una barriera rossa, che ha fermato l’ondata nera. I tentativi quasi caricaturali di Salvini (il citofono come format modello de “Le Iene”) hanno toccato corde profonde del senso morale degli elettori, violando un confine sacro. Qui il punto. Il consenso al centro-sinistra è stato più un argine a protezione che un endorsement a favore. È, appunto, la mobilitazione che ha trascinato il consenso e non viceversa.

Del resto, la mappa del voto conferma le previsioni della vigilia: un territorio spaccato, con le città forti da una parte e i policentrismi fragili dall’altra, dalle aree interne dell’Appennino fino alle coste della riviera. Bonaccini ha vinto nelle città forti e ha perso nei Comuni dell’Appennino, da Pievelago a Bardi, da Verghereto a Castell’Arquato, nel Delta del Po e nella riviera. Se la polarizzazione territoriale e i fragili policentrismi riconsegnano una mappa del consenso nettamente suddivisa in luoghi che contano e luoghi che non contano, l’analisi del voto in base alla polarizzazione sociale ci riporta alla Prima Repubblica e alla sua onda lunga, protrattasi ben oltre il crollo della sua classe politica. Come mostrano le analisi del Cise (Centro, italiano, studi elettorali), siamo tornati al voto di classe: il consenso al centro-destra si è nutrito del voto di imprenditori, libero professionisti e casalinghe; quello al centro-sinistra di operai, studenti e disoccupati. Il ritorno del voto di classe ha salvato il centro-sinistra.

Occorre dirlo e trarne le conseguenze del caso. Certo si tratta di un voto come argine, stimolato dai goffi tentativi di Salvini, più che di un voto a favore del centro-sinistra. Voto che, come detto, ha attinto a un patrimonio – forse ormai unico in Italia – di una regione che mantiene la sacralità e quindi l’inviolabilità di alcuni confini simbolici, che hanno radici profonde nella storia e nelle costituzione repubblicana. Patrimonio, al contrario, che è drammaticamente mancato al Paese, con lodevoli ma troppo limitate eccezioni.

Da qui bisognerebbe ripartire, dalla ricostruzione della riserva morale del Paese, dalla messa in sicurezza di alcuni principi e confini non negoziabili, che nessuno può permettersi di violare. Per questo, l’abolizione dei Decreti Salvini è una priorità. Per ristabilire un ordine morale, un universo di significati condiviso e radicato nella nostra Storia migliore. È questa la direzione indicata dall’esito del voto regionale in Emilia-Romagna. Gongolarsi per il pericolo scampato e non schiacciare il piede sull’acceleratore costituirebbe un fatale errore di prospettiva.