L’allarme lanciato venerdì dal manifesto sull’intenzione politica di far tornare l’acqua di Napoli in mano ai privati è più che giustificato. La proposta di legge della giunta Caldoro, nel ridisegnare i confini degli ambiti territoriali ottimali in cui è suddiviso il servizio idrico in Campania e quindi l’affidamento dello stesso, appare esattamente congegnata per provare ad affossare la prima esperienza di ripubblicizzazione definitivamente completata dopo i referendum di 2 anni fa, quella che si è costruita attorno alla nuova Azienda speciale Abc di Napoli.
Quello che però va rimarcato non è solo la gravità di questo disegno, ma che esso è ben lungi dall’essere un fatto isolato ed estemporaneo. In realtà, dopo il periodo che va dalla fine dell’anno scorso alla primavera di questo, in cui l’esempio di Napoli stava contagiando altre importanti realtà territoriali del Paese, da Reggio Emilia a Vicenza, da Palermo a Torino e altre ancora e si stava delineando un quadro che faceva balenare come possibile la ripubblicizzazione del servizio idrico nel Paese procedendo per progressive “conquiste” territoriali, da un po’ di tempo in qua ( da quando è nato il governo Letta, potrebbe pensare qualche persona maliziosa come il sottoscritto) l’aria sembra improvvisamente cambiata. C’è in corso un tentativo di isolamento del percorso di Reggio Emilia in quella regione, dove assistiamo ad una sempre più marcata titubanza del comune di Piacenza ad incamminarsi sulla strada della ripubblicizzazione, cosa che pareva assodata qualche mese fa e che ora, invece, sembra nuovamente propendere per la ricerca di un partner privato e dove il comune di Rimini, altra situazione dove la concessione è scaduta e dove la ripubblicizzazione è possibile, pare orientarsi per costituire una società mista con l’ingresso di un soggetto privato. In Sicilia il governo Crocetta ha deciso di mettere da parte la proposta di legge di iniziativa popolare promossa a suo tempo dal Forum siciliano per l’acqua, sostenuto da più di 135 amministrazioni locali e da 35.000 siciliani, per approdare ad una soluzione “gattopardesca” che, nella sostanza, lascerebbe inalterato il quadro di gestione privatistica lì esistente. A Mantova da lungo tempo, ancora da prima del referendum, era iniziata e poi si era fermata la procedura di gara per la scelta di un socio privato nella gestione del servizio idrico e ora, invece, proprio in questi giorni, siamo in presenza di una fortissima accelerazione per giungere a quell’esito. Potrei continuare ancora in quest’elenco che inizia ad essere troppo lungo per essere considerato un fatto casuale. L’ultima citazione, però, se la merita la vicenda torinese: lì il Consiglio comunale, all’inizio di marzo, aveva approvato una delibera, non del tutto convincente, ma che comunque apriva la strada alla possibilità di trasformare il soggetto gestore Smat, SpA a totale capitale pubblico, in Azienda speciale. Qualche giorno fa la Provincia di Torino, con una delibera sostenuta da uno schieramento di larghe intese, sbarra la strada a quest’ipotesi, con una serie di motivazioni inconsistenti e addirittura tenendo a precisare nel testo della stessa delibera (sic!) che “ l’approvazione delle presenti linee di indirizzo si pongono in naturale contraddizione con l’approvazione della proposta del Comitato Acqua Pubblica ( noi e il comitato torinese l’avevamo capito bene, ma forse bisognava spiegarlo a qualche consigliere provinciale !). Siamo in “trepida” attesa di conoscere l’intendimento del sindaco Fassino e del Consiglio comunale, con la curiosità di capire se esso confermerà la delibera approvata a suo tempo oppure se si piegherà al diktat dell’Amministrazione provinciale.
2.La questione, peraltro, non si ferma qui, al tentativo di chiudere gli spazi che si erano aperti in molte realtà territoriali. C’è qualcosa di ancora più inquietante, vari tasselli che iniziano a comporre un mosaico che sembra andare in un’unica direzione. Qualche giorno fa al Ministero del Tesoro si è tenuta una riunione per studiare sul come dare applicazione ad un provvedimento previsto dal decreto liberalizzazioni del governo Monti ma mai attuato, e cioè l’assoggettamento delle SpA a totale capitale pubblico e delle Aziende speciali al Patto di stabilità previsto per gli Enti locali: non c’è bisogno di dire che tale ipotesi equivale da sola ad aprire un nuovo ciclo di privatizzazioni dei servizi pubblici locali, rendendo nei fatti impraticabili tali forme di gestione. Ancora meno simpatici sono gli avvertimenti che arrivano dall’Unione europea e dal Fondo Monetario Internazionale: la prima, alla fine di maggio, nel momento in cui ha chiuso la procedura di deficit eccessivo relativa al nostro Paese, tra le felicitazioni pressoché unanimi, ha formulato 6 raccomandazioni al governo Letta, tra cui spicca quella di “ promuovere l’accesso al mercato per la prestazione dei servizi pubblici locali”; il secondo, al termine della sua consultazione con il governo italiano il 4 luglio, ha redatto un documento, passato all’ “onore” delle cronache giornalistiche per la sua ingerenza in tema di IMU, in cui si legge testualmente che “ l’agenda delle privatizzazioni, specialmente a livello locale,…deve essere implementata velocemente”. Se a ciò aggiungiamo le recenti dichiarazioni di Letta, davanti ai banchieri della City londinese, e di Saccommani al recente vertice del G-20 a Mosca, con le quali si evidenziano le forti possibilità esistenti rispetto a nuove privatizzazioni, iniziando dalle grandi SpA pubbliche nazionali per finire a quelle locali, non ci vuole molto a comprendere che siamo in presenza di un’idea corposa, in base alla quale un governo, incapace di affrontare i veri nodi della crisi se non propagandando l’ideologia delle grandi opere e una nuova iniezione di flessibilità ( ma è più serio dire precarizzazione) del lavoro, sceglie di fare di un nuovo ciclo di privatizzazioni uno dei volani, peraltro destinato a dare risultati fallimentari, della propria azione. Che, molto probabilmente, si proverà a costruire, sempre che il governo ci sia ancora, con la prossima legge di stabilità dell’autunno, magari anche con una nuova legge sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali volta ad impedire il ricorso all’azienda speciale.
3.Si deve sapere che questo progetto urta violentemente contro la volontà della maggioranza assoluta del corpo elettorale che si è espresso 2 anni fa con i referendum sull’acqua e che troverà sulla sua strada l’insieme del variegato movimento dell’acqua, che, nonostante tanti detrattori e, a parte lodevoli eccezioni, tra il silenzio assoluto dei mass-media, ha continuato a lavorare in questi anni che ci hanno separato da quella scadenza, dimostrando una persistenza che è stata e sarà il più forte ostacolo per chi vorrebbe ignorare e contraddire quell’esito referendario. Abbiamo praticato l’ “obbedienza civile” per il rispetto del risultato referendario sulle tariffe del servizio idrico, violato palesemente dall’Authority per l’Energia elettrica e il Gas, e, proprio per questo, impugnato in sede giudiziaria quel provvedimento; abbiamo promosso una forte iniziativa nei territori per la ripubblicizzazione del servizio idrico, elaborato proposte sul finanziamento del servizio idrico e per promuovere gli investimenti, sollecitato la nascita dell’Integruppo dei parlamentari per l’acqua pubblica per ripresentare la proposta di legge per il governo e la gestione pubblica dell’acqua e del servizio idrico. Andremo ancora avanti nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, sapendo che la nostra è una battaglia che riguarda l’insieme dei soggetti che si battono per i beni comuni e per la democrazia: ma di questo, e delle iniziative da mettere in campo, avremo senz’altro modo di tornare a parlare.

*Fp Cgil – Forum Italiano Movimenti per l’Acqua