Paolo Romani, né falco né colomba ai tempi della faida, in compenso un fedelissimo doc, sarà presidente dei senatori di Forza Italia, Anna Maria Bernini, rapace tra i più decisi, sarà la sua vice, ma il ruolo di playmaker, regista ombra, ventriloquo del capo, resterà a Sandro Bondi. Almeno questa è una certezza: approvata dall’assemblea dei senatori neoforzisti. Un organigramma che sancisce e garantisce il totale controllo del cavaliere sui “suoi” senatori, depurati dal virus traditore dei governisti. «Sono felice di certi addii», ha detto chiaro e tondo re Silvio ai suoi, rivelando un non menzognero sollievo per il non dover più trattare per ore e ore con quelli che, al netto delle considerazioni dettate da opportunità politica, considera nient’altro che traditori.

Forza Italia passerà all’opposizione: anche questa è una certezza. Nella commissione Bilancio del Senato, dove è in discussione la legge di stabilità, gli ex pdl ripittati d’azzurro all’opposizione ci sono già: si muovono senza più alcun vincolo di maggioranza. Le certezze, però, finiscono qui. Sulla fine ufficiale delle larghe intese, sul sofferto passaggio di Berlusconi alla franca e aperta opposizione, gravano le stesse ambiguità, le stesse estenuanti oscillazioni, gli stessi calcoli incomprensibili che accompagnano il percorso del principale partito del centrodestra sin dal giorno della condanna definitiva del suo capo. Se al pettine arriverà prima il nodo della decadenza non ci saranno dubbi. Ma che fare se invece si dovesse trarre il dado sulla legge di stabilità, con la fiducia messa ai voti prima della decadenza? Converrà rompere subito o aspettare ancora 24 ore, offrire al paese trepido l’estrema prova di «responsabilità» e poi far saltare il banco il giorno seguente, dopo la decadenza? In questo modo si dimostrerebbe con plastica immediatezza che solo l’attacco alla democrazia rappresentato da quel voto, «il golpe», come ama chiamarlo l’Allende di Arcore, è alle origini del traumatico addio. Pare assurdo e lo è. Pare ridicolo, e lo è. Ma nel cuore della crisi tanto il governo quanto la maggioranza e la futura opposizione discutono sull’opportunità di arrivare a una rottura ufficiale della grande coalizione 24 ore prima o 24 ore dopo.

Palazzo Chigi e palazzo Grazioli si spiano, giocano a rimpiattino, calcolano col bilancino quale sia l’attimo più conveniente per rompere o per provocare la rottura. E il gioco di specchi si traduce inevitabilmente in sequela di rinvii. La conferenza dei capigruppo di palazzo Madama rinvia a stamattina la decisione finale sulla decadenza del reprobo, in concreto la scelta tra sfidare le ire di Forza Italia prima sulla legge di stabilità o prima sulla decapitazione del suo conducator. A scegliere però non saranno i capigruppo di palazzo Madama, ma il governo: fino a ieri Letta era convinto che convenisse arrivare allo showdown sulla decadenza, giusto per togliere a Berlusconi l’alibi di una uscita dalla maggioranza per protesta contro le tasse. Ieri però hanno prevalso gli umori opposti: meglio andare subito al sodo e sfidare il Ruggente direttamente sulla legge di stabilità,rinviando però la decisione sul pomo della discordia, la seconda rata Imu, la tassa sulla casa, a dopo entrambi i voti. Di fatto a dopo la rottura, in modo da togliere a Forza Italia l’argomento più succulento per giustificare l’esodo.

Se il governo rimanda la scelta, Berlusconi non si fa pregare e aggiorna a oggi la prevista riunione congiunta dei gruppi parlamentari a cui spetta il compito di decidere lo strappo. Conferma invece la riunione dei senatori, che elegge senza sforzo la nuova presidenza e poi passa, con più fatica, a fare il punto sulla legge di stabilità. Tra i senatori prevale l’opinione di non votare la fiducia, anche se restano aperte le diverse sfumature: uscire dall’aula, in modo da non sancire ancora ufficialmente il passaggio all’opposizione; astenersi, che al Senato equivale a voto contrario ma politicamente non è ancora opposizione frontale; esprimere una bocciatura netta. La prima ipotesi è quasi fuori discussione: troppo morbida. Restano la altre due, e al momento prevale il no secco. Ma c’è sempre tempo per eventuali ripensamenti.