Non sarà esaudito l’ultimo desiderio di Erich Priebke. Poco dopo la diffusione per bocca del suo avvocato della volontà di essere sepolto accanto alla moglie nel Cimitero del Riposo di Bariloche, infatti, l’Argentina ha sdegnosamente escluso la possibilità che i suoi resti vengano riportati nel luogo in cui visse felicemente per 40 anni e dal quale fu estradato nel ’95.

«Il ministro degli Esteri, Hector Timermann, ha dato l’ordine di non accettare nessuna richiesta che permetta l’ingresso del corpo del criminale nazista Erich Priebke nel nostro paese. Gli argentini non accettano questo tipo di affronto alla dignità umana», hanno fatto sapere da Buenos Aires, quando da Roma si iniziava a parlare di spedire il pacco.

Mentre la numerosa comunità ebraica locale plaude alla presa di posizione di un ministro correligionario, che deve farsi perdonare diversi trattati con l’Iran, vale la pena ricordare che gli argentini hanno accettato, spesso controvoglia, affronti alla dignità umana ben più gravi di questo. Sorvolando su quell’ultima dittatura militare, che iniziò il 24 marzo del ’76 (guarda caso nell’anniversario delle Fosse Ardeatine) e portò il paese in un luogo vicino a quel che fu la Germania Nazista, bisogna invece ricordare che nel Secondo Dopoguerra, il governo di Peron aprì la porta all’esodo dei nazi in fuga dall’Europa, che fuoriuscivano attraverso la cosiddetta Via dei Topi coi visti del Vaticano, degli Usa e della Croce Rossa.

Grazie a questa trovata anti-sovietica, arrivarono qui centinaia di nazisti di ogni rango. Eichmann, stratega della Soluzione Finale, fu rapito dal Mossad e giustiziato a Tel Aviv. Mengele, il sadico Dottor Morte, scappò in Paraguay per un soffio e visse felice e contento continuando gli esperimenti genetici sugli umani. Barbie, il Macellaio di Lione, fuggì in Bolivia e fece un colpo di Stato insieme ad alcuni generali narcotrafficanti e poi fu estradato in Francia. Molti altri meno impuni si persero invece nei boschi di Bariloche, un paradiso andino che già dagli anni ’30 i tedeschi avevano trasformato in una piccola Baviera ultra-nazi.

Tanto era così, che dopo aver fatto per un po’ il cameriere a Buenos Aires, Priebke ci si trasferì nel ’48, senza bisogno di assumere alcuna identità falsa. Dieci anni dopo, aveva aperto una salumeria ed era diventato un notabile: direttore del collegio tedesco, presidente della società Germano-Argentina, possedeva addirittura una clinica. A fregarlo fu un altro nazi, che, incalzato dalle domande di un giornalista, disse: «Ma perché non vai a cercare Priebke invece di prendertela con me?»

A metà anni Novanta, l’irruzione sulla scena pubblica degli scheletri nell’armadio di un’Argentina peronista, mise in tale imbarazzo quell’Argentina menemista e sbottonata sul libero mercato americano, che l’estradizione fu concessa in pochi mesi e Priebke se ne andò baciando i poliziotti della scorta. Per questo, l’Argentina di oggi, di nuovo peronista e ferma nei processi ai gerarchi del suo proprio olocausto, non si sognerà mai di accettare la patata bollente di quel vecchio problema.