L’Argentina ha voltato ufficialmente pagina. Con la cerimonia di insediamento svoltasi ieri in un clima di festa, con tanto di concerto finale in Plaza de Mayo, Alberto Fernández, affiancato dalla sua vice Cristina Fernández de Kirchner, ha dato inizio in mezzo a grandi aspettative alla sua avventura presidenziale.

CHE NON SARÀ UNA PASSEGGIATA ne è consapevole l’intero paese, considerando quanto pesante sia l’eredità lasciatagli dal suo predecessore: un’inflazione oltre il 55%, il valore del dollaro cresciuto di sei volte, il debito estero aumentato del 65% e, soprattutto, una povertà superiore al 40% – con più di 15 milioni di persone in situazione di insicurezza alimentare – la disoccupazione schizzata dal 7,1 al 10,1%, il salario minimo crollato del 29,5%. E se l’aumento delle tariffe dei servizi pubblici è risultato il maggiore della storia del paese, le spese per l’educazione sono state tagliate di oltre il 30%.
È in questo quadro drammatico che si troverà ad operare la nuova squadra di governo, in cui, al di là dell’esiguo numero di donne (solo quattro) e dell’assenza di rappresentanti dei settori esclusi, si distingue il nuovo ministro dell’Economia Martín Guzmán, vicino al Premio Nobel Joseph Stiglitz, a cui pare vada ricondotta l’idea di rinunciare agli 11 miliardi di dollari che ancora restano del contestatissimo maxi prestito di oltre 56 miliardi negoziato da Macri con il Fondo monetario internazionale.

E se una delle maggiori sfide della nuova amministrazione sarà proprio quella di rinegoziare il debito con il Fmi, è proprio a tale questione che il nuovo presidente si è riferito nel suo discorso di insediamento, ribadendo, dinanzi alla «situazione di virtuale default» in cui il governo Macri ha lasciato il paese, la disponibilità del governo a onorare il debito, pur non essendo ora «in grado di farlo»: «Per poter pagare – ha detto – bisogna prima crescere». E, ha assicurato, sarà una crescita «con giustizia sociale», «cominciando dagli ultimi per poi arrivare a tutti».

PER QUESTO, se il primo obiettivo, nel quadro di un’«etica delle priorità ed emergenze», sarà quello di promuovere il «programma integrale contro la fame» – «senza pane non c’è presente né futuro» -, il fine ultimo sarà però assicurare agli esclusi il diritto di sedere «alla grande mensa di una nazione intesa come la nostra casa comune».

Né è mancato il riferimento alla situazione delle donne, in un paese in cui, nei quattro anni di governo Macri, le vittime di femminicidio sono state almeno 1.213: «Ni una menos deve essere la bandiera di tutta la società», ha affermato, promettendo anche di migliorare le loro condizioni di lavoro». Quanto alle politiche ambientali, Fernández ha riconosciuto la necessità di promuovere «una transizione verso un modello di sviluppo sostenibile, di consumo responsabile e di difesa dei beni naturali», richiamandosi ai principi della Laudato si’ di papa Francesco. Ma è difficile che il suo governo muoverà un passo al di fuori di quel modello estrattivista – basato sullo sfruttamento degli idrocarburi, sulla grande estrazione mineraria e sull’agribusiness – che aveva già caratterizzato i governi kirchneristi.

PERLOMENO così ha lasciato intendere in campagna elettorale, esprimendo il suo sostegno ai settori legati all’agribusiness transgenico, l’interesse ad attrarre investimenti esteri sull’estrazione del litio e la volontà di promuovere lo sfruttamento dei giacimenti di Vaca Muerta, una regione di 30mila kmq in Patagonia che ospita la quarta riserva al mondo di shale oil e la seconda di shale gas.