A 78 giorni della scomparsa, e poco prima delle elezioni di medio termine per il rinnovo delle Camere, è riapparso il corpo di Santiago Maldonado. Dopo i primi esami, ieri è stata confermata l’identità del cadavere trovato martedì nelle acque del fiume Chubut, a qualche centinaia di metri da dove era stato visto l’ultima volta.

SERGIO MALDONADO, FRATELLO di Santiago, che ha riconosciuto il cadavere, si è detto perplesso per il ritrovamento in una zona che era stata già setacciata dalle forze dell’ordine. In un comunicato la famiglia ha dichiarato: «Le circostanze del ritrovamento del corpo ci fanno venire molti dubbi. Dobbiamo sapere cos’è successo a Santiago e chi sono i responsabili della sua morte. Tutti. Non solo quelli che gli hanno tolto la vita ma anche quelli che, per le loro azioni o omissioni, hanno collaborato all’occultamento e hanno pregiudicato le ricerche. Continua a risultarci inspiegabile il rifiuto del governo di fronte alla proposta di collaborazione di esperti dell’Onu, di comprovata competenza internazionale. Nessuno potrà levarci dalla testa che si sarebbe potuto fare molto di più e molto prima».

ERA IL PRIMO AGOSTO quando il giovane artigiano, che aveva preso parte alle manifestazioni in favore dei Mapuche è scomparso. Quella mattina un centinaio di agenti della Gendarmeria Nacional – le forze dell’ordine militari – sono entrate in modo violento e irregolare, nelle terre della comunità Pu Lof a Resistencia, in Patagonia. La Gendarmeria, secondo le testimonianze, si è fatta avanti sparando proiettili di gomma e piombo, dando fuoco a oggetti dei Mapuche. È in queste circostanze che Maldonado, che era nei caseggiati degli indigeni, è stato visto l’ultima volta. Si dice che quando i gendarmi hanno iniziato a sparare la gente presente è fuggita verso il fiume per mettersi in salvo, alcuni sono riusciti ad attraversarlo, altri sono stati arrestati. Maldonado non era tra quelli che erano fuggiti, ma nemmeno tra le persone arrestate. Era diventato un nuovo desaparecido, una parola impronunciabile in Argentina.

I MAPUCHE RIVENDICANO da anni le terre acquistate da Luciano Benetton, che è diventato il primo proprietario terriero in Argentina. È opportuno osservare che il «nostro» Benetton possiede 884.000 ettari nelle steppe della Patagonia e la sua fattoria Leleque si trova proprio a poche centinaia di metri dal luogo in cui è scomparso Maldonado.

L’INDIFFERENZA DEL GOVERNO argentino di fronte alla desaparición de Maldonado ha riportato il Paese negli anni bui della dittatura militare (1976-1983), che ha lasciato 30.000 desaparecidos, persone di cui non si è saputo mai più nulla. Anche il silenzio della Benetton e lo scarso rilievo dato in Italia alla vicenda ricordano quei drammatici momenti. Dopo molti anni e con grande difficoltà l’Argentina è riuscita a processare e condannare molti militari colpevoli di crimini di lesa umanità. Lo stesso generale Jorge Videla, capo della Giunta militare, è morto in carcere.

Il Nunca más, quel «mai più» che sembrava acquisito, è ripiombato sul Paese con le vicende di Maldonado, che insieme all’arbitraria detenzione della leader indigena Milagro Sala, dimostrano il mancato interesse per i diritti umani e la legalità che contraddistingue il ritorno del neoliberismo con il governo di Mauricio Macri.

ALL’INIZIO IL GOVERNO ha cercato di minimizzare la desaparición di Maldonado, ma migliaia di persone hanno riempito strade e piazze in tutto il paese mettendolo sotto pressione. La corporazione dei media al servizio del governo ha diversificato le versioni dicendo che era fuggito all’estero, che si era nascosto da qualche parte, in uno stile già usato dai militari durante la dittatura. Non si sa ancora se Maldonado è stato ucciso per mano della Gendarmeria, ma sì che loro hanno nascosto le prove in tutto questo periodo negando ogni addebito. Il governo non ha mai avuto il coraggio di assumersi la responsabilità, anche perché insieme alle forze dell’ordine si trovava proprio lì il sottosegretario alla sicurezza nazionale Pablo Nocetti. Solo tra quindici giorni i medici legali potranno chiarire come, quando e perché è morto Maldonado.

IN QUESTO CLIMA D’INCERTEZZA oggi si va alle urne. Sembra incredibile che Elisa Carriò, del partito al governo, sia saldamente in testa ai sondaggi per la Camera della città di Buenos Aires. La Carriò ha una personalità debordante che spesso sconfina nell’insulto. Dopo che è stato ritrovato il corpo di Maldonado, in un programma televisivo ha paragonato lo stato della salma recuperata nel fiume Chubut con quello di Walt Disney, sorridendo per la sua trovata. Invece, nella popolosa provincia di Buenos Aires, 12 milioni di elettori, il distretto più grande del Paese, si presenta Cristina Kirchner, che rimane l’unica candidata in grado di frenare il ritorno del neoliberismo.

PREOCCUPA anche l’illegale persecuzione di Milagro Sala. Una settimana fa le sono stati revocati gli arresti domiciliari concessi dopo una straordinaria mobilitazione internazionale e la pressione delle Nazioni unite, ed è ritornata in carcere. La dirigente della Tupac Amaru e deputata del Parlasur è stata portata via dalla sua casa all’alba con la forza, in pigiama e ciabatte, letteralmente sequestrata in macchine senza targa, quelle che in Argentina sono il simbolo del passato.

Proprio oggi l’Argentina dovrà scegliere tra passato o futuro.