Con l’approvazione da parte della giunta Raggi della proposta di recupero degli ex mercati generali Ostiense, Roma è tornata ad essere capofila dell’urbanistica di rapina che ha devastato l’Italia nel ventennio neoliberista. Tutti i progetti messi in campo negli anni 2000, e cioè nel momento di massima effervescenza della valorizzazione immobiliare, arrivano oggi ad essere approvati tutelando gli interessi privati e sacrificando i diritti dei cittadini ad avere una città più umana e vivibile.

La vicenda dei mercati generali Ostiense prende il via nel 2001 con la giunta Veltroni quando l’aumento dei valori immobiliari sembrava garantire le risorse per rilanciare le città: nascerà addirittura il Covent garden romano disse il sindaco. L’intera proprietà di 8 ettari e mezzo con edifici industriali di grande pregio è di proprietà interamente comunale, un’occasione preziosa per dimostrare la capacità progettuale del comune. Si ricorre invece all’iniziativa privata e nel 1995 si svolge il concorso di assegnazione alle imprese concorrenti. Vince un progetto firmato dall’archistar di turno (Rem Koolas in questo caso) che prevede almeno due ettari dell’area costituiscano un parco pubblico per risarcire i vicini quartieri, edificati nel primo dopoguerra, dalla speculazione edilizia: in quell’area dove vivono oltre 3 mila cittadini non esiste infatti neanche un fazzoletto di verde pubblico.

Il vento in poppa del mattone trionfante si infrange con la crisi economica del 2008. Inizia così l’abbandono del progetto e l’area diventa uno dei tanti luoghi del degrado romano. I privati che avevano sottoscritto la convenzione nel 2006 iniziano a chiedere di cambiare a loro favore i termini contrattuali asserendo che essendo cambiate le condizioni di mercato era indispensabile rivedere la proposta. Il comparto immobiliare è insomma l’unico segmento dell’economia sottratto al “libero mercato” tanto osannato a parole: se le cose vanno bene tutti felici, ma alle prime nubi si cambiano le regole del gioco. Non accade in nessun’altro settore dell’economia dove chi investe rischia di rimanere fuori mercato e fallire.

Nei nuovi progetti accettati dal comune di Roma (sindaco Alemanno) il verde pubblico scompare e per favorire gli operatori si cancellano addirittura i parcheggi pubblici del quartiere di via Negri che vive già oggi in perenne stato di disagio proprio per l’assoluta mancanza di aree di sosta. Nel progetto da poco approvato dalla giunta Raggi non c’è un metro quadrato di verde e scompaiono molti parcheggi delle aree limitrofe. Il progetto mi venne sottoposto quando ero assessore all’urbanistica e chiesi formalmente agli uffici che avevano espresso parere positivo di spiegare perché non si fossero rispettate le leggi nazionali che obbligano a prevedere una quota inderogabile di servizi pubblici, parcheggi e verde compreso.

La risposta – che è agli atti e che conservo gelosamente–fu sconcertante: gli uffici comunali mi risposero che il “il verde pubblico era stato compensato a Volusia”. Volusia è un luogo lontano più di venti chilometri dall’Ostiense e per arrivarci si impiega se va bene un paio d’ore tra andata e ritorno. Per i parcheggi mi si rispose che sarebbero stati localizzati a un chilometro di distanza. Insomma, per favorire i privati si comprimevano i diritti pubblici. Avevo dunque fermato il progetto chiedendo che venisse ragionevolmente ripristinata la quota di servizi pubblici indispensabili.

Ora arriva l’approvazione da parte della giunta Raggi e i cittadini di Ostiense secondo la “nuova” urbanistica pentastellata dovranno pagare il conto salato del fallimento dell’urbanistica liberista. Insieme alla vicenda dello stadio della Roma, l’affare Ostiense mostra dunque il vero volto dell’urbanistica romana a cinque stelle: dopo tante belle parole sul cambiamento rispetto alle malefatte del passato ci si è ritagliati il ruolo di portare in approvazione tutte le nefandezza del passato. Alla faccia della tanto sbandierata diversità.