La lista delle morti eccellenti nel mondo dello spettacolo, si arricchisce tristemente con la notizia della scomparsa a 76 anni di Al Jarreau, vero talento della musica jazz prestata al pop e al r’n’blues con successi distribuiti soprattutto fra gli anni ’80 e i primi anni ’90. Figlio di un predicatore di Milwakee, è protagonista di una lunga gavetta come cantante soul-jazz nei club della California, dove si distingue subito per uno stile vocale decisamente innovativo.

Uno scatter di talento e grande improvvisatore, capace di giocare a suo favore l’apparente difetto di una voce prettamente nasale. Eclettico, esordisce nel 1965 con l’eponimo album incentrato sul repertorio di Bill Withers. Ma il successo – e il lancio internazionale – non arriva subito: passeranno altri dieci anni prima di un contratto con la Warner e la pubblicazione di We got by, con una scelta di pezzi ancorata al jazz  e sul vocalese.

Il successo però arriva non dagli Stati uniti ma in Europa,  dove il nome di Jarreau è ormai una sicurezza negli ambiti jazz. E non solo. Anche il successivo album – Glow (1976) viene accolto benissimo nel vecchio continente, tanto da spingere la Wea alla pubblicazione di un doppio live Look To the Rainbow – Live in Europe (1977) in cui dimostra – con l’aiuto di una band con musicisti del calibro di Tom Canning, Joe Correro, Abraham Laboriel – di avere i numeri per diventare una star.

E finalmente se ne accorgono negli Stati uniti, dove – grazie anche ad apparizioni in show tv di successo come Saturday Night Live – scala le classifiche di Billboard con il brano We’re in This Love together. Successo e abilità di mescolare generi – grazie anche all’aiuto decisivo del produttore Jay Graydon – caratterizzano Breaking Away (1981), Jarreau (1983, in assoluto il suo best seller con perfetti pop soul ballabili Boogie Down, Love is Waiting e piccole gemme vocali come Trouble in Paradise).

«Provo ad essere il più ricettivo possibile – rispondeva Jarreau in alcune interviste a chi lo rimproverava di muoversi su troppi registri musicali  – ascolto moltissimi generi e non ho paura di provare e creare cose differenti». Sono i suoi  anni di maggior successo, tour sold out da una parte all’altra dell’oceano, e una messe di Grammy Award – ne riceverà complessivamente sette, il primo nel 1982 nella categoria jazz, per una strepitosa performance di un brano di Dave Brubeck Blue Rondo à la Turk.

Dopo qualche battuta a vuoto e dischi eleganti ma di routine (L is For Lovers nel 1985 e Heaven and Earth nel 1992), Tenderness (1994) lo riporta ad alti livelli: registrato live ma in studio raccoglie una manciata di standard jazz suonati insieme a una band formata da Joe  Sample, Steve Gadd e David Sanborn. Superbo. Ancora molte incisioni nel nuovo millennio, da segnalare l’album inciso in duo Givin’ It Up (2006) con George Benson e parecchi ospiti: Patti Austin, Herbie Hancock, Marcus Miller e Stanley Clarke.