La «lunga mano» antidemocratica del regime egiziano, quella che reprime e persegue coloro che si battono per i diritti umani, potrebbe agire anche in Italia. L’allarme viene dall’Arci che ieri ha segnalato due «episodi inquietanti» avvenuti durante la visita a Roma del noto attivista egiziano dei diritti umani Abdelraham Mansour, invitato dall’associazione nell’ambito della sua campagna «Verità e giustizia per Giulio Regeni, diritti umani e democrazia in Egitto».

Il primo è avvenuto, racconta il comunicato dell’Arci, martedì 5 luglio, quando «una persona sconosciuta, non accreditata come giornalista per la conferenza stampa di Mansour alla Camera, è stata notata prendere fotografie di tutte le persone che entravano e uscivano dall’ingresso della sala stampa». Ma l’«episodio più grave» si sarebbe verificato mercoledì 6 luglio.

Nella sede nazionale dell’Arci di Roma era stata organizzata una riunione interna per definire i futuri impegni per la campagna per i diritti umani in Egitto a cui erano stati invitate associazioni, organizzazioni dei diritti umani, Ong e sindacati. «Erano presenti Abdelrahman Mansour e una ricercatrice indipendente che lavora con le organizzazioni non governative», prosegue il racconto dell’Arci. «Prima dell’inizio dell’incontro, i presenti sono stati informati che la riunione era da considerarsi privata, e che era loro richiesto di non produrre report della discussione. Anche se l’ordine del giorno riguardava iniziative e campagne pubbliche, largamente riportate dai media e pubblicizzate su siti e social, questa scelta voleva mettere il più possibile a proprio agio i partecipanti e permettere una discussione libera e amichevole».

Ma qualcosa durante la riunione ha insospettito Abdelrahman Mansour, un’attivista molto famoso che a Roma «ha avuto incontri istituzionali, riunioni con organizzazioni sociali ed interviste su molti media». Mansour «si è accorto che Essa Eskander, accreditatosi all’incontro in quanto componente dell’Ufficio Internazionale della Uil, stava registrando l’audio dell’incontro e scattando fotografie con il suo cellulare. A fronte della richiesta di una spiegazione – prosegue sempre il racconto dell’associazione – Eskander ha risposto di aver preso delle foto solo per documentazione personale e, dopo alcune domande da parte della responsabile Arci ha detto di avere il permesso da parte dei suoi datori di lavoro per fotografare. Nello stesso tempo, si è rifiutato di accondiscendere alla cortese richiesta degli organizzatori della riunione di poter visionare il suo telefono in modo da fugare ogni dubbio».

Nonostante questo, continua il racconto, «sia la responsabile dell’Arci che Abdelrahman Mansour hanno potuto vedere che la foto in questione non era nella gallery del cellulare, ma in una lunga chat live su WhatsApp, preceduta e seguita da molti post in arabo: durante la riunione, foto e testi erano stati inviati in diretta all’esterno. Mansour ha segnalato all’Arci e agli altri partecipanti alla riunione che il materiale era stato inviato a una persona chiamata Walid Selim che, a quanto si sa, lavora all’Ambasciata Egiziana a Roma».

A questo punto la riunione è stata sospesa. E l’organizzazione, dopo averne discusso a lungo, preoccupata per la sicurezza di Mansour e di altri attivisti, «nonché allo scopo di allertare le istituzioni italiane competenti», ha deciso di rendere noti i fatti. Ricorda infatti l’Arci che «gli attivisti dei diritti umani e le organizzazioni indipendenti dei diritti umani in Egitto sono sotto tiro: molti sono in prigione, o sottoposti a provvedimenti restrittivi, tutti sono a rischio di repressione». E ricorda che proprio domenica prossima è attesa al Cairo la sentenza nel processo che coinvolge molti dirigenti delle principali associazioni.

«In Italia istituzioni, società civile e media sono impegnate a chiedere verità e giustizia per Giulio Regeni e la fine della repressione in Egitto. Solo ieri (giovedì, ndr), la presidente del Comitato Diritti Umani della Camera Pia Locatelli e il presidente del Comitato Diritti Umani del Senato hanno chiesto al presidente Al-Sisi, con una lettera, di sospendere il processo contro le associazioni».

L’Arci, che chiede che sia fatta chiarezza sull’accaduto, ha deciso di avvertire così «le istituzioni competenti, in modo che nessun attivista democratico egiziano debba sentirsi insicuro nel nostro Paese, come purtroppo è successo la settimana scorsa».