Il Centro Studi Archivio della Comunicazione, fondato nel 1968 dallo storico dell’arte Arturo Carlo Quintavalle, è finalmente aperto al pubblico. Ci sono voluti quasi cinquant’anni per raccogliere dodici milioni tra manifesti, fotografie, modelli e progetti di architetture, schizzi di stilisti, opere d’arte delle neo-avanguardie degli anni Sessanta, film. Un patrimonio straordinario che non sarà più consultabile solo per gli specialisti, ma sarà per tutti.

Lo Csac nasce come progetto dell’Università parmigiana, realizzato passo dopo passo grazie alla tenacia di Quintavalle e dei suoi collaboratori. Negli anni ’60, ’70 e ’80 era l’unica istituzione a cui donare quadri, sculture, fotografie, disegni. Archizoom, gruppo dell’architettura radicale, ha regalato l’intero archivio, composto da disegni, maquette e teatrini.
Quintavalle, specialista di Medioevo, con interessi in architettura e design, focalizzò l’attenzione sulla sua grande passione, la fotografia. Per questa ragione, troviamo un enorme numero di fotografie (nove milioni): si va dai pionieri ai reporter della Farm Security Administration, Dorothea Lange e Walker Evans, fino a Luigi Ghirri, Ugo Mulas, Mimmo Jodice, solo per citare i più noti.

La prima mostra monografica di Ghirri è del 1979, proprio nel Centro parmigiano. Il fotografo emiliano stabilì un sodalizio con Quintavalle, uno dei pochi storici dell’arte insieme a Massimo Mussini e Carlo Bertelli a occuparsi di fotografia in quegli anni, facendola conoscere per la prima volta in Italia. Ciò avvenne in un periodo storico in cui la crisi del linguaggio visivo era il tema dei dibattiti all’interno del «cenacolo» di fotografi autoriali che si riunivano nel progetto Viaggio in Italia curato da Ghirri (a cui parteciparono, tra gli altri, Vittore Fossati, Olivo Barbieri, Guido Guidi, Gabriele Basilico, Mario Cresci, Giovanni Chiaramonte, Mimmo Jodice, Cuchi White, Vincenzo Castella, Claude Nori…).

Contemporaneamente alle mostre, lo Csac ha prodotto una collana di cataloghi monografici degli artisti collezionati, con testi e saggi dei più importanti storici e intellettuali italiani: Carla Lonzi, Filiberto Menna, Tommaso Trini, Maurizio Fagiolo, con un progetto grafico innovativo a supporto di una chiarezza concettuale da cui le giovani generazioni di storici e curatori dovrebbero imparare.

In questo modo, lo Csac si è proposto fin dalle origini come un incubatore e un produttore di cultura. Oggi ha la sua sede nell’Abbazia cistercense di Valserena, al centro di un grosso appezzamento di terreno, simbolicamente isolato da tutto, ma al centro di un ambizioso progetto culturale per uscire fuori dall’ambito accademico con una mostra permanente di seicento opere. Preziosi i materiali racchiusi nelle teche all’interno delle navate laterali: i disegni del grattacielo Pirelli di Giò Ponti, il progetto del Dispensario Antitubercolare Borsalino di Ignazio Gardella ad Alessandria, i manifesti pubblicitari e le macchine per scrivere Olivetti tra i quali spicca il prototipo della mitica Divisumma 18 realizzata da Mario Bellini nel 1972. Ma quello che più intriga lo spettatore è l’armonia tra il medioevo e il moderno, enfatizzato dalle gigantesche figure anonime in legno grezzo di Mario Ceroli, la Nixon Parade realizzata da Enrico Baj con figure in tessuto e la serie di colonne bianche di Giulio Paolini, una irriverente rottura dello spazio austero cistercense.