Beyond Environment, ovvero «Oltre l’ambiente», è il titolo della mostra curata da Emanuele Piccardo e Amit Wolf al Los Angeles Contemporary Exhibitions (in corso fino al 9 novembre). Il tema generale è il rapporto tra arte e sperimentazione architettonica durante gli anni ’60 del secolo scorso, quando ci si interrogava, in maniera provocatoria e irriverente, sulla necessità di tener conto di una serie di fattori «ambientali» che fino ad allora erano stati estromessi dall’immaginario artistico e dal progetto di architettura. Così, artisti ed architetti cominciano a guardare alla città e alla natura in maniera innovativa, pensando al corpo umano e al divenire delle sue azioni, al clima e agli odori, alla morbidezza e all’effimero, agli stati fisici dei materiali utilizzati, intravedendo potenzialità espressive e immaginando di realizzare opere attrezzate per captare tali valori.
Piccardo e Wolf mettono a confronto le esperienze americane di tre grandi artisti come Robert Smithson, Allan Kaprow e Gordon Matta-Clark con quelle dei protagonisti della cosiddetta Superarchitettura (1963 -1973), un eterogeneo movimento di architetti italiani in bilico tra cultura Pop e l’avventura del radical design.
In particolare, la mostra presenta al pubblico una sorta di comparazione tra il lavoro di Kaprow, uno dei primi sperimentatori dell’happening, e quello di Gianni Pettena che, a differenza di altri «superarchitetti», ebbe modo di confrontarsi in prima persona con le ricerche della Land art e della Performing art. Ma individuare aspetti comuni non significa testimoniarne l’identità. Mentre i lavori di Pettena, per quanto dirompenti, rimangono sempre legati all’ambito urbano, o mediati da presenze architettoniche, le ricerche artistiche americane mettono in crisi le modalità espositive dell’arte e il suo ruolo nella società, introiettando la cultura dell’environment nelle pratiche intellettuali.
Le prime occasioni in cui Pettena ebbe modo di riflettere su questi temi gli vennero offerte dalle gallerie d’arte, luoghi grazie ai quali completò e poté espandere la sua formazione di architetto. È durante la performance Asphalt Rundown (1969), attentamente documentata in mostra dagli affascinanti scatti di Claudio Abate, chePettena incontrò Smithson, invitato all’Attico di Fabio Sargentini, a Roma.
In un momento in cui l’università soffriva la propria arretratezza didattica, la colata bituminosa realizzata da Smithson in una cava sulla Laurentina, rappresentava l’avvento di un nuovo ciclo artistico e, allo stesso tempo, uno stimolo a svincolarsi dai luoghi – e dai modi – tradizionali di una società incapace di rinnovarsi.
Nei primi anni ’70, durante il suo soggiorno americano, Pettena divenne l’anello di congiunzione tra le nuove ricerche artistiche e le istanze espresse da una nascente generazione di architetti, non più vincolata ai ristretti ambiti disciplinari.
Programmaticamente, Pettena instaurò una serie di dialoghi idealizzati con Kaprow, ricorrendo anch’egli alle pratiche dell’happening con gli studenti. Lo dimostrano i lavori intitolati Ice House I e II (1971) che l’architetto realizzò a Minneapolis e che richiamavano alla mente la performance Fluids (1967) di Kaprow. In tutti e tre i casi, si trattava di costruzioni di ghiaccio. Tuttavia, se Pettena ebbe bisogno di un edificio preesistente da contestare, concentrandosi sulla forma architettonica finale, Kaprow rivolse la sua attenzione all’azione artistica, creando un nuovo environment alternativo al contesto, per quanto ironico e transitorio.
L’allestimento progettato dal collettivo di architetti Pentagon è stato pensato appositamente per accompagnare idealmente i visitatori lungo questo sentiero. Sono stati creati una serie di environment che animano lo spazio della galleria e in cui sono collocati materiali inediti ritrovati negli archivi del Getty Research Institute. Si tratta dell’immagine di una barba rovesciata, parte dello score dei 18 Happenings in six parts (1959) e il video di un happening intitolato Scales (1971), entrambe opere di Kaprow; e, infine, la performance del Living Theatre (1969), realizzata presso la discoteca Space Electronic di Firenze. La discoteca progettata dal gruppo 9999 è un luogo caro ai superarchitetti, poiché inteso quale spazio di coinvolgimento sensoriale atto a ospitare ogni tipo di sperimentazione musicale e artistica.
Nel libro, che completa il progetto di ricerca di Piccardo e Wolf, vengono poi analizzati alcuni aspetti non registrati dai numerosi materiali esposti. In particolare, gli autori fanno riferimento ai termini un-artist e anarchitetto, rievocando le provocatorie definizioni di Kaprow, Matta Clark e Pettena.
Non si trattava semplicemente di stabilire un contatto consapevole con gli spazi della natura o della città, ribaltandone la percezione, ma di rifondare completamente ambiti disciplinari che sembravano incapaci di stare al passo con la società.