Allah, la Siria, Bashar e basta? (Bianca e Volta, pp. 665, euro 18) di Alberto Savioli è il luminoso esempio di come gli archeologi, quando dotati della sensibilità giusta, possano essere degli attenti e validi osservatori di ciò che succede nel mondo. Un’approfondita conoscenza del territorio e lo stretto contatto con le popolazioni locali, infatti, permettono di comprendere la storia meglio di qualsiasi analisi effettuata dall’esterno.

SAVIOLI, IMPEGNATO dal 2012 nel Kurdistan iracheno con il Progetto Terre di Ninive dell’Università di Udine, ha lavorato in Siria, Libano, Turchia, Iraq e Arabia Saudita. Ma è soprattutto il bagaglio di esperienze accumulate in Siria che lo ha spinto a tirare fuori dal cassetto gli impolverati taccuini ai quali durante quattordici anni aveva affidato appunti e pensieri. La faticosa ed emotivamente difficile ricostruzione dei diari e dei ricordi custoditi nella memoria dello studioso dà vita al racconto di «un’avventura intellettuale e insieme umana», in cui l’archeologia resta ai margini. Se infatti la partecipazione agli scavi di un tell (collina artificiale pluristratificata, ndr) a Shuyukh Fawqani consente a Savioli di mettere per la prima volta piede in Siria, è la passione per le tribù nomadi, e in particolare per l’arte del tatuaggio femminile, a propiziargli una lunga permanenza nel paese, che esplorerà fino alle aree più desertiche. I risultati di questa ricerca sistematica costituiscono un vero e proprio tesoro, in quanto raccolgono le testimonianze di un patrimonio intangibile destinato a scomparire nell’arco di una o due generazioni. Le molte pagine dedicate ai soggiorni dell’autore nelle tende dei beduini – seppur appesantite da digressioni sull’origine di tribù e shaykh nonché su vicissitudini claniche –, rappresentano la parte più romanzesca del libro.

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LO SGUARDO di Savioli va oltre il mero dato tecnico o etnografico, approccio che favorisce un solido legame di amicizia con le comunità nelle quali viene accolto e di cui restituisce un quadro vivido e, a tratti, poetico. In mezzo alla descrizione di abiti, mestieri scanditi dal ritmo della natura e rituali antichi come i jinn (spiriti e geni della tradizione araba e persiana, ndr), affiorano i segni che la tatuatrice, daggaga, imprime sulla pelle delle donne con piccoli aghi immersi nel carbone e nel latte di puerpera: il crescente di luna, hilal, fra gli occhi, la goccia raggiante sull’avambraccio che è lo specchio, mrai, i punti sotto al labbro inferiore, raffa al-dubban ossia stormo di mosche. Ma Allah, la Siria, Bashar e basta? è soprattutto un testo che nello sviluppo dei vari capitoli – impostati secondo un ordine diacronico dal 1997 al 2017– vuole manifestare la militanza dell’autore, la cui consapevolezza politica matura tra gli aridi paesaggi della Jazira e le intricate strade di Aleppo e Damasco, dove Savioli si rifugia nei giorni di riposo, indugiando in case con cortili segreti e Caffè avvolti dal profumo di arjila. D’altronde, il titolo del libro utilizza lo slogan dei sostenitori del presidente siriano, allo scopo di mettere in discussione l’assunto che la Siria sia solo Allah e Bashar. Della ricchezza culturale di un paese devastato da un conflitto che non accenna a spegnersi, Savioli dà conto attraverso vicende che lo hanno coinvolto in prima persona.

PARTICOLARMENTE significativa, fra le tante, la testimonianza dello scavo multietnico di Mishrife, dove, nel 2007 – malgrado attitudini peculiari a ciascun gruppo e un amore contrastato – convivevano operai sunniti, alawiti e cristiani. I temi portanti del volume – le tribù beduine e la storia recente della Siria – si ricongiungono nello sforzo dell’autore a far riemergere fatti e problemi precedenti allo scoppio della rivoluzione nel marzo 2011, nell’intento di dimostrare come le disuguaglianze sociali e le oppressioni perpetrate dalla dinastia degli Assad siano state successivamente gettate nel calderone di una guerra al terrorismo che ha (e ha avuto) molti volti ma sembra non avere più quello di un popolo decimato e costretto all’esilio.
Nel ripercorrere lo scontro tra truppe regolari ed Esercito Siriano Libero (Esl), fino alla formazione delle varie cellule jihadiste e alla nascita del Califfato, l’autore non smette di dare voce ai dissidenti, ai prigionieri politici e alle donne che hanno pagato con la più becera violenza il loro attivismo. Spettatore, nel 2014, dell’avanzata dello Stato Islamico a nord di Mosul, Savioli sente non già il bisogno ma il dovere di condividere gli eventi che lo hanno trasformato da un entusiasta e quasi ignaro studente universitario in Medioriente a un ostinato difensore dei diritti umani.