«Mi innamorai di Ur, della sua bellezza di sera, della mole dello ziggurrat che sfumava nella semioscurità e dell’oceano di sabbia dai teneri colori cangianti. Mi piaceva tutto, gli operai, i capisquadra, i ragazzi che portavano i cesti, i picconieri, i sistemi di lavoro e l’intero stile di vita. I fantasmi del passato salivano ad afferrarmi. Com’era romantico vedere una spada che appariva a poco a poco attraverso la sabbia col suo luccichio dorato! La cura con cui i vasi e gli altri oggetti venivano raccolti dal suolo mi ispirava un desiderio intenso di fare anch’io l’archeologo».

COSÌ, NELLA SUA autobiografia – opera postuma pubblicata nel 1977 – Agatha Christie rievocava la sua prima visita nell’antica città mesopotamica, ospite del direttore degli scavi Leonard Wolley e di sua moglie Katharine. Allora, era il 1928, la celebre giallista non immaginava che quel viaggio in Oriente intrapreso un po’ per caso con l’intento di dimenticare il sofferto divorzio dal colonnello Archibald Christie (di cui, per esigenze editoriali, dovette mantenere il cognome) avrebbe segnato la sua seconda primavera. Quando, nel 1930, si recò nuovamente a Ur nel bel mezzo di una tempesta di sabbia vi incontrò Max Mallowan, l’assistente di Wolley che di lì a poco sarebbe diventato suo marito. Invitato, o meglio costretto, dall’eccentrica e dispotica Katharine ad accompagnare la sua scrittrice favorita alla scoperta dei luoghi attrattivi del paese, Mallowan si mostrerà una guida premurosa e gioviale. La necropoli di Najaf «popolata da figure gementi di donne musulmane», Kerbela con la sua moschea dalla cupola dorata e turchese e l’isolata Ukhaidir fecero da sfondo alla nascente amicizia tra il giovane archeologo e l’avventurosa signora inglese di quattordici anni maggiore, la quale non disdegnò di gettarsi assieme a lui nelle acque cristalline di un lago desertico, con indosso una sottoveste di seta rosa e due mutandoni.

RICORDA CHRISTIE che furono proprio quelle gite perigliose a instillare in Max un sentimento di ammirazione nei suoi confronti mentre non bastò accondiscendere alla raccolta di cocci dai colori brillanti durante l’esplorazione di un tell per conquistare la fiducia di Agatha, risoluta a non mettersi mai più alla mercé di un uomo e persino disposta a dichiararsi frigida pur di allontanare, fra gli altri pretendenti, uno sfrontato italiano.

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TUTTAVIA, GIRARE per le chiese di Aleppo divertendosi, ascoltare Max che parlava dei classici, imparare l’alfabeto greco e leggere le traduzioni dell’Eneide si rivelarono argomenti in grado di vincere l’iniziale ritrosia a una proposta di matrimonio avvenuta ai piedi del letto nel Devon, col pretesto notturno della restituzione di un libro. Le nozze vennero celebrate nello stesso 1930 a Edimburgo, alla presenza di pochi intimi e di Rosalind, la figlia nata dall’unione con Archie. A Epidauro, una delle tappe del viaggio degli sposi nell’Ellade, Christie si scontrò con il temperamento dell’archeologo, rinchiuso per ore dentro al museo nel tentativo di decifrare un’iscrizione particolarmente oscura mentre fuori tutto era una meraviglia. «Lui è un intellettuale e io no ma siamo complementari e ci siamo sempre aiutati l’un l’altro», dirà in seguito. E infatti quello fra la scrittrice più tradotta al mondo e lo studioso che riscoprì Nimrud dopo le gesta ottocentesche di Austen Henri Layard, fu un sodalizio di lunga durata, che trasformò Agatha in un’appassionata ed efficace collaboratrice del marito.
Nel frattempo, l’attività letteraria della maestra del crimine continuava malgrado le poco confortevoli condizioni dei soggiorni in Medio Oriente. Dopo aver battagliato con Reginald Campbell Thompson – che nel 1932-33 aveva ingaggiato Mallowan per gli scavi di Ninive – affinché potesse comprarsi nel suq di Mosul un tavolo robusto sul quale poggiare la macchina da scrivere, a Nimrud la creatrice di Hercule Poirot e Miss Marple ottenne una piccola stanza di mattoni di fango, che volle decorare con due quadri di giovani artisti iracheni.

SULLA PORTA, l’epigrafista Donald Wiseman sistemò una targa in caratteri cuneiformi che annunciava che quella era Beit Agatha, la Casa di Agatha e fu qui che, nel 1950, vennero concepite le sue memorie. Al periodo che precede la Seconda Guerra Mondiale risale invece la redazione di Viaggiare è il mio peccato (titolo originale: Come, tell me how you live), tra le cui pagine si dipanano i suggestivi paesaggi scrutati dal finestrino dell’Orient Express, lo storico treno che ispirò il famoso assassinio del signor Ratchett. Nel colorito diario di viaggio sono narrate anche le vicissitudini delle missioni archeologiche condotte da Mallowan a Chagar Bazar e Tell Brak, siti dispersi in una Siria rurale e bucolica sotto «protezione» francese, in cui tuttavia le differenti comunità religiose impegnate sugli scavi convivevano quasi pacificamente. Un’inedita Agatha Christie alle prese con la dura vita da campo ma attenta e entusiasta osservatrice dei costumi locali, rende questo libro una testimonianza preziosa e, a tratti, commovente.
«Il mio amore per l’archeologia non si è mai spinto fino a farmi interessare a problemi riguardanti livelli, piante e altre cose simili che vanno tanto di moda oggi ̶ confessò Christie ̶ . Quello che mi affascina sono gli oggetti di artigianato e d’arte che emergono dalla terra». Non è difficile immaginarla con in mano un bastoncino di legno d’arancio e un ago da calza molto sottile, gli strumenti improvvisati con i quali ripulì una serie di avori intarsiati rinvenuti nel Forte Salmanassar a Nimrud. Le migliaia di frammenti datati tra il IX e il VII secolo a.C. e provenienti da botteghe di città fenicie e siriane, rappresentano una delle scoperte più straordinarie di Mallowan, che tra il 1949 e il 1959 potè realizzare il sogno di proseguire il lavoro di Layard. Se oggi al British Museum e al Museo Nazionale di Baghdad, recentemente restaurato, possiamo ancora incantarci davanti alla raffinatezza di quei capolavori minuti – tra cui spicca il busto di una donna dallo sguardo penetrante e dal sorriso enigmatico ribattezzata Monna Lisa –, lo si deve anche alle cure tempestive di Christie, che non esitò a liberare le figurine dal terriccio utilizzando la sua crema per il viso.

LA PULIZIA DEI REPERTI non era l’unico compito affidato alla signora Mallowan, che si occupava anche della documentazione fotografica e, a tale scopo, era pronta ad allestire camere oscure in alloggi di fortuna. Nonostante i rimproveri di Max, intransigente con la tecnica, le immagini scattate da Agatha denotano lo sguardo poetico di chi considera uomini e pietre come un unico afflato divino. Suscita emozione vedere oggi lo scatto in cui un lamassu (toro alato androcefalo, ndr) appena riportato alla luce viene attorniato da operai in gellaba e turbante, che sembrano rivolgere all’imponente scultura gesti di religioso rispetto. Una visione che contrasta con la violenza dei miliziani dell’Isis, scagliatasi nella primavera del 2015 contro il superbo lamassu che proteggeva l’ingresso della città assira. «Ora Nimrud dorme. L’abbiamo martoriata con i nostri bulldozer», scrisse Christie in versi non sapendo che il vero martirio sarebbe arrivato un giorno con le ruspe dello Stato Islamico. Una triste profezia, tuttavia non priva di una rinnovata speranza per Nimrud: «Le sue trincee spalancate sono state riempite con terra nuova, un giorno le sue ferite guariranno e fiorirà ancora con i primi fiori di primavera».