C’è nella nuova, formidabile ricerca di Giacomo Todeschini (Come l’acqua e il sangue. Le origini medievali del pensiero economico, Carocci, pp. 336, euro 29) una traccia, implicita ma non inapparente, del sogno che fu di Walter Benjamin: scrivere un libro composto di sole citazioni. Si tratta dei ben quarantuno eserghi che punteggiano i dodici capitoli del libro. Dalla loro funzione servile e dalla loro posizione liminare, le proverbiali «soglie» del testo sono promosse a un rango superiore: esibiscono in effigie l’impianto e la tesi che governano l’intera impresa.

ABBINARE Guittone d’Arezzo a Heinrich Heine, Egidio Romano ad Adam Smith, Agostino a Jean-Baptiste Say obbedisce molto meno a civetteria o «agudeza» che non alla deliberata illustrazione di un programma. Se infatti tutte le citazioni sembrano obbedire a una tacita ma inderogabile regola del buon vicinato è perché in esse ne va di qualcosa di capitale: la persistente, cocciuta ricorrenza, in contesti tra loro anche molto distanti, di un fitto tessuto di immagini e figure rapprese e trattenute – come formazioni coralline – in una longeva e consistente trama di «lessici».

«LESSICO» è probabilmente il concetto chiave per guadagnare un accesso al laboratorio todeschiniano. Tutta la sua opera, fin da Il prezzo della salvezza che li esibiva nel sottotitolo («Lessici medievali del pensiero economico») appare guidata da un’insaziabile «gourmandise» per i vocabolari (termini, concetti, metafore, figure) che hanno dato corpo a ciò che chiamiamo oggi ancora «economia».
Al punto che l’impegno teorico e storico di Todeschini potrebbe essere concentrato attorno all’ipotesi secondo cui l’emersione medievale dell’economia come campo dotato di una qualche riconoscibilità e quindi disposto a farsi descrivere retrospettivamente secondo i modi della «razionalizzazione», dello «sviluppo» o del «progresso» coincida con nient’altro che con un «certo modo» di parlare e di parlarne.

L’OGGETTO di questa archeologia «lessicale» è cioè lo stabilizzarsi di un «parlare economico» in catene ricorrenti di metafore e immagini che, dal medioevo fino alla più recente contemporaneità, offrirà la base a tutti quei tentativi di descrivere e imporre «l’economia» come alcunché di autonomo, consistente e razionale. Ma c’è di più: questo «stock» di lessici costituirebbe non soltanto la materia prima per la costituzione dell’economia in un sapere separato e guidato da leggi sue proprie (e quindi eventualmente opponibile alla politica o al diritto) ma anche il réservoir a cui non si è smesso di attingere, perfino «inconsciamente», per ingaggiarne la critica (spesso attraverso un ricorso omeopatico all’etica).
I saggi di Todeschini compongono quindi un repertorio ragionato di questo serbatoio di «lessici» che, impiegando metafore meccaniche e naturali (la circolazione, l’equilibrio), in cui il sapere medico e quello teologico si scambiano continuamente di posto, costruiscono l’economico non soltanto come uno spazio linguistico capace di ritagliarsi, insieme con una pretesa di autonomia, anche una garanzia di longevità e fungibilità senza pari, ma di istituirsi inoltre come una vera e propria macchina antropologica.
È questo un altro leitmotiv dell’indagine todeschiniana: la matrice genericamente «teologica» dell’economia è governata da un archi-lessico: quello «provvidenziale» che, stabilendo un rapporto di complicità tra provvidenza e previdenza (dichiarando che, in economia, «saperci fare» e «capirci qualcosa» sono due prestazioni indissociabili), implica sempre una selezione, una inclusione dei «competenti» e un’individuazione e dunque un’esclusione degli incapaci e dei duri di comprendonio.

IL PARLARE ECONOMICO non è quindi soltanto una descrizione delle condotte e delle capacità economiche ma sempre anche una ripetuta istituzione della soglia che separa chi le possiede o le ha guadagnate da chi invece non le ha mai possedute o è virtualmente minacciato di perderle.
Todeschini ha troppo pudore per impiegare il concetto di «biopolitica». Ma è un lettore attento di Foucault: quello che evoca di più è prevedibilmente l’autore de Le parole e le cose interessato com’è al «mormorio insistente» di figure e immagini che avrebbero dato corpo alla «positività» economica. Tuttavia è proprio la tesi centrale di Nascita della biopolitica a uscirne confermata e radicalizzata: per poter parlare sensatamente di biopolitica è necessario fare i conti con la vicenda del liberalismo, con la sua preistoria e con la sua – per ora interminabile – posterità.
Per farlo Todeschini ha scelto la via di un materialismo «lessicografico» conseguente contro ogni tentazione moralista: la sua indagine non oppone l’etica all’economia, ma si impegna nella più letterale e impietosa delle de-mistificazioni. A lettrici e lettori non resta che pesare quanta parte di questa storia è un «de nobis fabula narratur».