Più relativamente «libero» del primo capitolo del reboot dal peso delle aspettative per il debutto, Jurassic World: Il regno distrutto di J.A. Bayona si concede delle variazioni sul tema originale, quello che invece il Jurassic World del 2015 di Colin Trevorrow (qui alla sceneggiatura) ricalcava ossequiosamente: la scoperta meravigliata del parco, la tracotanza degli umani che pensano di poter controllare la natura, la «rivolta» dei dinosauri.

Del secondo episodio della trilogia originale, Il mondo perduto, questo nuovo Il regno distrutto riprende infatti solo la suggestione dei dinosauri che dall’isola in cui erano stati confinati arrivano fin da noi. Ma se nel Mondo perduto era solo il T-Rex, novello King Kong o Godzilla, a seminare il panico a San Diego, qui sono tutte le specie del parco a fare ritorno alla terra che un tempo dominavano.
Il film (vergognosamente censurato in Italia, dove le scene più violente sono state tagliate per evitare il divieto ai minori di 14 anni) si apre infatti anni dopo che il Jurassic World è stato chiuso per sempre in seguito alla strage di visitatori – i dinosauri sono stati lasciati liberi sull’isola, ma una prossima eruzione vulcanica rischia di ripetere quello che il meteorite aveva fatto milioni di anni fa: cancellarli dalla faccia della terra.

È così che Il regno distrutto introduce il suo dilemma morale: salvare o meno le creature che sfidando l’evoluzione l’uomo ha riportato in vita? Il «caosologo» Ian Malcolm (cammeo di Jeff Goldblum) pensa di no. Claire (Bryce Dallas Howard), da manager del parco diventata attivista per i dritti dei dinosauri, pensa di si, e arruola Owen Grady (il domatore di velociraptor interpretato da Chris Pratt) per una missione di salvataggio: un’arca di Noè che recuperi degli esemplari di ogni specie dall’isola, in realtà l’ennesimo tentativo di sfruttare economicamente i dinosauri, che un rampante affarista mascherato da filantropo intende mettere all’asta.

Di tutti i Jurassic Park/World, quest’ultimo è infatti quello che più empatizza con le creature preistoriche, e la sua vera forza è portare il nostro punto di vista in mezzo a loro, a chiederci più empatia che meraviglia e paura per questi animali maestosi e sofferenti – la silhouette del brachiosauro rimasto sull’isola infuocata all’orizzonte nella scena più struggente del film – simbolo, come in tutta la saga, della natura e della vita stessa piegate al volere del capitalismo. Destinato però, almeno qui, a essere sempre redarguito dalle fauci del T-Rex.