Non bisogna necessariamente finire per «amare il compost come un altro ama una donna» alla stregua del francese Octave Mirbeau. A volte capita che artisti più o meno noti si trasformino in «giardinieri della domenica», vuoi per piacere, vuoi per ammazzare il tempo con un hobby da praticare all’aria aperta. Per altri, invece, il giardino significa rifugio dalla mondanità. E poi ci sono quelli come Krzysztof Penderecki (1933 -2020) che in un certo senso un giardino lo avevano prima ancora prima di possederlo.

L’Arboretum del compositore polacco, aperto anche al pubblico, si trova nel villaggio di Luslawice nella regione della Piccola Polonia, un centinaio di chilometri a est di Cracovia. Il maniero di Luslawice, appartenuto un tempo al cognato del pittore simbolista Jacek Malczewski, sarebbe diventato di tutto nel secondo dopoguerra: deposito di fertilizzanti, reparto maternità e orfanotrofio.
Quando nel 1975, Penderecki lo acquista, la proprietà è in uno stato deplorevole. Il suo giardino come idea, in cui l’artista polacco avrebbe poi trovato «la propria Itaca» piantando alberi, sarebbe nato di lì a poco. Ce lo rivelano alcuni schizzi che sono stati esposti a Cracovia presso la galleria Bunkier Sztuki all’interno del palazzo Potocki.

Il progetto per grandi linee è già tutto lì, in quei disegni che inglobano anche alcuni appezzamenti di terra che avrebbe acquistato soltanto alcuni anni dopo. Sono trascorsi più di quarant’anni da allora e il giardino di Penderecki è diventato la raccolta di alberi e di arbusti più grande della Polonia. Nel suo arboreto il Fagus sylvatica asplenifolia (faggio secolare a foglia di felce), convive con il cedro del Libano e diverse specie di acero, su una superficie di 15 ettari. Il collezionare alberi per poi piantarli in uno spazio in divenire è stato il progetto di una vita di Penderecki, al pari della sua opera musicale fatta di esperimenti e aperta al sacro e al profano, senza mai mescolarli. L’artista ha spesso paragonato la sua attività di paesaggista a quella del filatelista. Si può dire che Penderecki abbia trascorso buona parte della sua vita a tentare di arricchire la propria raccolta di «francobolli vegetali» con esemplari provenienti da ogni paese.

Tutto si tiene nell’Arboretum di Luslawice, fatto di accostamenti sorprendenti tra alberi provenienti da diversi continenti. Pare che l’autore dell’opera I diavoli di Loudun (1969) sia stato limitato soltanto dal clima nella scelta degli esemplari entrati nella sua collezione vivente di piante che producono legno. La passione per la dendrologia e la musica gli erano state trasmesse dal nonno, un direttore di banca tedesco di nome Robert Berger. E lui che portava con sé il nipote a fare lunghe passeggiate nella natura e lo premiava con delle piccole ricompense monetarie in età prescolare quando il nipote suonava qualcosa.

Penderecki collezionava ma non ammassava specie di alberi per il suo arboreto che incarna l’esempio per eccellenza di giardino postmoderno. Vi si trovano le ondulazioni del terreno tipiche del giardino all’inglese, i ponticelli di quello zen ma in alcune zone anche l’ordine e la simmetria di quello all’italiana con diversi labirinti di siepi. E in questi luoghi che i giardinieri al servizio della famiglia Penderecki si sono persi più di volta. Il tracciato di uno di questi dedali è ispirato a quello di un labirinto inciso su pietra collocato all’interno della chiesa di San Pietro nel comune di Genainville nel dipartimento della Val-d’Oise. Costruzioni intricate nel quale soltanto Penderecki poteva permettersi di perdersi conoscendone anche le vie di uscita.

In queste strutture, caotiche ma non troppo, il compositore polacco non aveva mai smesso di sentirsi al sicuro. Nella mostra cracoviana gli schizzi del giardino di Penderecki venivano accostati alle cosiddette prepartytury, così battezzate diversi anni fa dalla curatrice della mostra Maria Anna Potocka. Si tratta di descrizioni grafiche, talvolta colorate, dei suoni e delle tensioni presenti nelle composizioni di Penderecki. Frutto della lingua individuale del musicista, le «prepartiture» non possono essere decodificate da altri musicisti per essere eseguite.

Nella visione di Penderecki gli artisti sono chiamati a operare come quegli alchimisti dei secoli andati convinti che il tentativo di creare e perfezionare la propria arte dovesse andare di pari passo con quello di rigenerare della natura. Forse Penderecki non è mai stato un artista impegnato socialmente ma la sua fede nel ruolo demiurgico dell’artista non si discosta molto dalla poetica di personalità emerse nello stesso periodo in altre discipline artistiche come Joseph Beuys.

L’Arboretum di Luslawice è uno spazio vasto ma pur sempre recintato. D’altronde il musicista polacco non ha mai smesso di parlare di hortus conclusus in riferimento al suo arboreto, esempio di natura plasmata e delimitata dall’intervento umano per il puro piacere estetico. Il giardino di Penderecki pensato e ripensato con pazienza nel corso degli anni è stato anche un rifugio spirituale e materiale per l’artista polacco che ha onorato i morti della bomba atomica in Trenodia per le vittime di Hiroshima (1961), una composizione per archi ripresa da Kubrick in Shining (1980) e successivamente anche da Lynch in un episodio di Twin Peaks. Non tutto si presta ad essere decifrato nell’opera dell’artista polacco. A conti fatti, le «prepartiture» e i labirinti messi insieme per la mostra cracoviana ben restituiscono il carattere enigmatico e affascinante del Penderecki compositore ma anche paesaggista.