Regnava un’atmosfera di trepidante attesa ieri sera a Ramallah. Non certo per gli esiti dell’incontro tra il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) Abu Mazen e il primo ministro Rami Hamdallah dimissionario da giovedì a causa di contrasti con i due vice premier, Mohammad Mustafa e Ziad Abu Amr. Piuttosto l’attesa era per la finalissima di “Arab Idol”, il talent show più seguito nel mondo arabo che vede grande favorito per la vittoria finale Mohammed Assaf, il giovane cantante di Khan Yunis (Gaza) che fa sognare i palestinesi. Non  è solo intrattenimento. In questa regione anche una gara canora per giovani talenti diventa motivo di dibattito e talvolta di scontro, specie se i concorrenti arrivano da Paesi e territori in guerra, sotto occupazione, devastati da conflitti vecchi e nuovi.  Assaf con la sua voce ha portato la Palestina sul palcoscenico regionale e i sostegni enormi che ha ricevuto da Cisgiordania e Gaza e dai campi profughi palestinesi nel mondo arabo dimostrano che il suo popolo si sente unito, oltre la sete di potere di partiti e movimenti, a cominciare da Hamas e Fatah.

Non sorprende perciò che l’indifferenza generale abbia accolto l’altra sera a Ramallah e nel resto dei Territori occupati la notizia delle dimissioni di Hamdallah, che pure sono clamorose se si considera che il premier aveva giurato assieme ai suoi ministri appena 15 giorni fa. Con Hamdallah, un accademico prestato alla politica e con vaghi legami con Fatah, si era chiusa l’era di Salam Fayyad, il “tecnico” rimasto primo ministro per sei anni grazie più di tutto al sostegno “esterno” di Stati Uniti e Unione europea che lo ritenevano l’unico esponente palestinese in grado di garantire competenza e trasparenza dei conti nell’Anp. Anche Hamdallah è un economista e, si dice, pure bravo. Su di lui però grava proprio l’ombra di Fayyad, che non si è mai rassegnato all’uscita di scena su pressione di Fatah (che da anni chiedeva un governo politico). Forse non è casuale che a creare intralcio all’azione del premier sia stato proprio Mohammed Mustafa, un esponente palestinese da sempre vicino a Fayyad. «Anche la gelosia professionale ha il suo peso», ci spiegava ieri un funzionario di Fatah, che ha chiesto l’anonimato. «A buona parte dei membri del nostro movimento Mustafa non piace, lo consideriamo un clone di Fayyad e ci siamo opposti alla sua possibile nomina a premier». Il vice primo ministro infatti più volte è stato indicato come un possibile capo di governo, a ragione della sua “specializzazione” in finanza internazionale e del gradimento che riscuote (come Fayyad) a Washington e Bruxelles. Fatah però ha sempre silurato le sue ambizioni. Abu Mazen ha provato a convincere Hamdallah a fare retromarcia e ieri sera, almeno fino alla chiusura di questo numero del nostro giornale, non era riuscito nel suo intento.

Di tutto questo importa poco o nulla a gran parte della popolazione palestinese. Non per un sopraggiunto disimpegno dalla politica. Più semplicemente perchè non intessano a nessuno litigi, contrasti, divergenze tra ministri e funzionari dell’Anp, un’autorità che la gente dei Territori occupati considera priva di potere, ininfluente, incapace di ottenere quello che realmente serve: fine dell’occupazione militare israeliana, libertà e indipendenza. A settembre saranno ricordati (si spera non celebrati) i venti anni dalla firma degli Accordi di Oslo. Nelle memoria di molti è impressa ancora la stretta di mano tra il premier israeliano Yitzhar Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat. Ma è una immagine sempre più sbiadita di fronte al fallimento totale di intese che ai palestinesi non hanno dato alcun risultato concreto e hanno lasciato in eredità un’Anp incapace di autosostenersi a causa dell’occupazione israeliana e che dipende dalle donazioni occidentali. Un discorso che vale anche per Gaza. L’altra sera i dirigenti di Hamas sorridevano mentre discutevano della sorte di Hamdallah, nominato contro la loro volontà e, di fatto, contro la riconciliazione nazionale palestine. Una soddisfazione ingiustificata perchè anche il governo del movimento islamico a Gaza è artificiale, sostenuto dalle petromonarchie del Golfo e, in definitiva, lontano dagli interessi di tutti i palestinesi.

Davanti a ciò perchè sorprendersi che in Cisgiordania e Gaza si urli “Viva Mohammed Assaf”. Stasera, completato il conteggio dei voti inviati con i messaggi telefonici da tutto il Medio Oriente, si saprà il risultato tanto atteso. Se il ragazzo di Khan Yunis che canta la “Palestina bella”, Gerusalemme e la tradizione popolare, realizzerà il suo sogno di vittoria, i palestinesi festeggeranno tutta la notte una rara soddisfazione nazionale. Chiunque sia il premier dell’Anp in carica.