Fa strano raccontare le impressioni positive avute durante il viaggio a L’Aquila con Mario Ciammitti, ingegnere originario di quella città e che abita e lavora da tanti anni a Bologna, a fronte dei recenti sviluppi a livello giudiziario noti dalle cronache e del gesto di Celso Cioni, responsabile della Confcommercio dell’Aquila barricatosi dentro la Banca d’Italia minacciando di darsi fuoco in difesa dei piccoli commercianti che sono stati costretti ad andar via dal centro storico. Solo trenta esercizi commerciali sui novecento che c’erano in centro prima del terremoto hanno riaperto. E sono quelli che abbiamo visto e che danno segni di ripresa e di rivitalizzazione. Eppure vanno raccontate e va diffusa la testimonianza di uno che alla ricostruzione ha partecipato sin dalla prima ora dopo quella maledetta scossa nella notte del 6 aprile 2009 e che le difficoltà le ha vissute, tutte, dai blocchi dell’esercito a vigilare le recinzioni della zona rossa ai lunghi tempi di attesa di denari a fronte di burocrazia, giochi politici e corruzione.

Siamo arrivati di sera, il 26 dicembre scorso, alla piazzetta subito dopo Porta Bazzano, spettrale, buie le due strade, calate in un silenzio innaturale: la vita non risiede più qui da oltre quattro anni. Unico rumore lo scorrere dell’acqua di una fontana – scoperta il giorno dopo, alla luce naturale. Per dormire si va a Pizzoli, paesino a distanza di 13 km poco toccato dal sisma, nell’appartamento-studio preso in affitto da Ciammitti con altri due tecnici e che lui stava per lasciare per far ritorno nella sua casa, riparata, a due passi da Porta Bazzano, appunto. Ha portato con sé quasi tutta la famiglia per farla partecipare al felice evento, il trasloco dello studio nel centro storico, avvenimento non ordinario a L’Aquila, visto che sono poche le persone che tornano a vivere in centro.

La mattina seguente, vista alla luce del sole, la stessa area subito dopo Porta Bazzano appare più viva, le prime due case sulla destra risplendono del colore fresco sulla facciata, giallo limone quella del vicino che ci dà il benvenuto dal balcone, color pesca la casa di Ciammitti. Quella subito dopo assomiglia più a una scenografia da film d’orrore con le finestre aperte, i vetri rotti, soffitti e pavimenti presumibilmente crollati visto che si intravedono i buchi nel tetto, piccole fessure luminose, mentre il portone è chiuso da tempo, come la serranda del fornaio al pianterreno. Sul lato di fronte tutte le case sono vuote, una in particolare mi colpisce: sul filo della biancheria davanti alla finestra del primo piano c’è un lenzuolo steso, bianco. Pensavo fosse abitata, invece no! La signora anziana era morta nel terremoto e quel lenzuolo è fermo lì da allora, a pochi metri dall’inizio della zona rossa.

Ormai i cancelli sono stati spostati, da via Fortebraccio c’è un passaggio frequente di macchine e persone, mentre la strada in salita pare bloccata più su. No, è libera, mi dice un ragazzo che sembra spuntare dal nulla. Dal terrazzo di casa Ciammitti si vedono i tetti di L’Aquila, sopra i quali s’innalzano tante gru, più o meno alte, come silhouette colorate nel cielo nuvoloso, scuro. Segni di movimento o scena? Più tardi camminando lungo il Corso vediamo i tanti cantieri, nelle zone meno disastrate ci sono ancora le luminarie natalizie. Il nuovo Palazzo del governo, l’agenzia delle entrate, la Banca d’Italia danno bella presenza di sé, mentre quasi tutte le facciate delle case sono ancora puntellate e/o impacchettate con strutture di tubi innocenti, le finestre sorrette da impalcature di legno a forma di archi. Per sostenerle e prevenire eventuali crolli, dicevano coloro che avevano diretto quei lavori. Ma cosa accadrà quando verranno tolte quelle protezioni, o per ricostruirle le svuoteranno dall’interno? Chissà…

Qualche bar è aperto, il primo fu quello di Nurzia, manufattore del famoso torrone, già nel dicembre 2009, quando il profumo di cioccolato si era diffuso tra le macerie… Segni di vita.

Per raggiungere la Fontana delle 99 cannelle passiamo il quartiere Rivera, interamente al buio, devastato. L’Aquila è così, una città ferita, la cui ferita vuole guarire, se solo l’essere umano ancora una volta non glielo impedisce.

L’impressione avuta durante la nostra visita è che L’Aquila stia un po’ rinascendo, ho visto tante gru, cantieri attivi, anche di sera. Tu stai lavorando per la ricostruzione da cinque anni ormai, cosa mi dici a proposito?

Non è una tua impressione, con il ministro Barca del governo Monti qualcosa sembra essere ripartito. Si vedono da vari punti panoramici della città almeno una trentina di gru nel centro storico. Andando più vicino ci si accorge che sono gru disposte per cantieri riguardanti un solo edificio, quasi tutti vincolati dalla Sovrintendenza, mentre gli edifici in aggregato – il che significa tante case attaccate una all’altra – non sono partiti, se non al massimo un paio. Per lo più sono edifici singoli monumentali, alcuni già finiti come Palazzo Bonanni sul Corso. Il grande problema è che spesso queste gru sono ferme e parlando con le imprese si apprende che lo Stato di Avanzamento Lavori (il SAL) è fermo in comune per i controlli. Si aspetta anche sei mesi prima di vederlo approvato per avere i soldi dei lavori già eseguiti. Questo mette in grande difficoltà le imprese che non hanno nessun tipo di agevolazione dalle banche, anzi tutti si lamentano dell’atteggiamento delle stesse che non fanno più credito, hanno raddoppiato gli interessi sul denaro concesso anche a seguito di incarichi molto importanti. Interessi da usura. Secondo me c’è una grave colpa delle banche.

La seconda colpa è che i soldi concessi dal governo arrivano col contagocce, nel 2013 dovevano arrivare oltre un miliardo di euro e credo ne siano arrivati solo seicentomila. Certo, siamo in periodo di crisi, ma speriamo che ci siano giustizia e trasparenza nell’assegnare i soldi prima agli interventi in cui sono comprese molte prime case, poi a quelli nelle seconde e infine alle opere pubbliche non urgenti. Per altro, queste ultime seguono altri canali di finanziamento, non mescolabili.

In periferia come vanno le cose?

Lì piuttosto che di aggregati si tratta di edifici di tipo «E», cioè molto danneggiati, e sono tutti in via di definizione dal punto di vista dei finanziamenti. Ma anche lì, per esempio, ho un progetto approvato nel luglio dell’anno scorso, ma i primi soldi dobbiamo ancora vederli e siamo a gennaio… È molto complessa la situazione. Per ultimo ci sono le frazioni di L’Aquila dove tutto è ancora paralizzato. Ho dei lavori presentati nel luglio 2011, tuttora da approvare. Non vengono approvati perché non ci sono i soldi, anche se dicono che ci sono. Mah…

L’inchiesta fatta dall’Unione europea fece emergere che i soldi arrivati da Bruxelles erano stati spesi male.

Erano serviti per costruire le New Town di Berlusconi, in gran fretta, va detto, risparmiando agli abitanti inverni freddi nelle tendopoli, ma quelle case sono costate il 158% in più del costo corrente di costruzione. E già si vedono difetti e danni, la cui riparazione è a carico del Comune perché sono passate di proprietà comunale. Il Comune non riscuote affitti essendo state assegnate in comodato gratuito per via dei fondi dall’Unione europea. Ora non si sa dove trovare il denaro per curare quei grandi giardini nelle New Town che sono soltanto un enorme spreco di territorio.

Tu sei andato a L’Aquila subito dopo il terremoto, hai aperto uno studio per partecipare da subito alla ricostruzione…

Sono partito lo stesso giorno, il 6 aprile, alla ricerca di parenti e amici che per fortuna abbiamo ritrovato tutti vivi. Sono sceso una seconda volta con l’ordine degli ingegneri per il rilievo dei danni in gruppi di case assegnateci dai tecnici comunali. Fu un turno di una settimana e nel corso di quei giorni avevo capito che tantissimi amici avevano bisogno di aiuto avendo tutti la casa in qualche modo danneggiata. Così ho deciso di tornare a L’Aquila, dove sono nato, e anche la mia casa era da riparare. Nell’agosto 2009 ho trovato un ufficio-abitazione a Pizzoli, da dove mi sono spostato a L’Aquila tutti i giorni nei periodi passati lì. Finora ci sono andato 148 volte per 3 o 4 giorni ogni volta in quattro anni e mezzo.

Raccontami della tua casa…

]È situata nella Piazzetta di Porta Bazzano nel centro storico e per fortuna non era molto danneggiata. Grazie a una fortunata coincidenza è stato possibile ristrutturarla, perché la zona rossa era stata ridisegnata escludendo la mia casa e quelle dei vicini, tutte classificate «B», cosa che consentiva di fare tutto abbastanza velocemente e alla fine del 2010 era già pronta. Per due anni è stata affittata a studenti, categoria privilegiata della città perché l’università è la più grande azienda di L’Aquila e avevo l’obbligo di affittare a loro per due anni. A settembre di quest’anno gli studenti sono andati via, e quindi sto tornando a casa mia, finalmente. In centro storico siamo forse una trentina di persone, tornate, su dodicimila che vi abitavano prima. L’Aquila è una città abbastanza piccola per cui anche dalla periferia è facile arrivare in centro e di fatto sono solo due le strade che funzionano come accesso.

Quali sono?

La Via della Croce Rossa, cosiddetta, e la via XX Settembre. Nella Via della Croce Rossa hanno costruito moltissime baracche di legno che alloggiano i negozi e i servizi che prima erano in centro. Si trovano appena fuori dalle mura ma lo stesso vicinissime al centro. Via XX Settembre è quella dove c’era la Casa dello studente e molte altre costruzioni crollate provocando decine di morti. Quella strada è nuovamente percorribile nei due sensi di marcia da circa sei mesi.

Un’immagine vista poco prima della nostra partenza, nel tardo pomeriggio, mi aveva rallegrato: gruppi di giovani si avviavano verso Porta Bazzano e quindi verso il centro. Si sta rivivacizzando?

No, semplicemente hanno riaperto da Porta Bazzano via Fortebraccio e Costa Masciarelli, in salita, e entrambe portano direttamente in piazza. Tutti gli autobus, urbani e extraurbani, si fermano al Terminal vicino alla Porta e Costa Masciarelli era una delle vie preferite di accesso al centro.

Lungo queste due strade però di case ristrutturate, e quindi abitate, non ne ho viste…

Ce n’è un’altra a metà di via Fortebraccio, va detto che è pur sempre zona rossa e per ora non si può intervenire.

Come mai?

Hanno detto che non funzionano gli impianti, ossia le reti del gas e la rete dell’acqua. Per risistemare le tubazioni stanno facendo un grande lavoro nelle strade secondarie per ridare l’agibilità provvisoria a certe abitazioni considerate di tipo «B» o «A», cioè poco lesionate o addirittura agibili. Ma c’è anche una certa ritrosia degli aquilani a tornare in queste case, perché in quattro anni si sono sistemati altrove e in qualche modo abituati a un tipo di vita diverso. Tornare in una città vuota e senza servizi sarebbe un ulteriore trauma che molti non vogliono vivere, pensando inoltre a un futuro fatto di grandi cantieri, rumore e polvere, nonché inquinamento da amianto.

C’è molto amianto a cielo aperto?

Queste case hanno spesso il tetto e gli scarichi di eternit, ci sono studi molto preoccupanti. L’Aquila non è una città ricca, già prima del terremoto c’era una crisi terribile, di occupazione, le fabbriche chiudevano, il terremoto dà un piccolo impulso benché molte imprese vengono da fuori e utilizzano poco la manodopera locale e i materiali disponibili. Non sembra che questo beneficio nel campo dell’edilizia si ripercuota in modo positivo sulla città.

Sarà sempre meno il contributo che il comune dovrà spendere per il CAS (Contributo di Autonoma Sistemazione), cassa da cui si finanziano i contributi per coloro che hanno trovato una sistemazione altrove: praticamente il comune paga loro l’affitto o una grossa quota di esso. Man mano che si riparano le case e gli abitanti tornano, cala il contributo da dare come CAS, rimanendo più soldi da gestire per la ricostruzione.

I MAP (Moduli Abitativi Provvisori), quelle casette in legno costruite da Bertolaso con i fondi europei e della provincia di Trento…

Quelli a Onna e a Villa Sant’Angelo, così come l’Auditorium di Renzo Piano sono tutti doni della provincia di Trento e sono state montate dai loro fornitori. Sono case bellissime, quelle fatte dai trentini, anche dal punto di vista urbanistico, molto migliori di quelle fatte a casaccio per single e anziani soli, tipo quelle a Pizzoli, orrende, lontane dai servizi, lontane dai negozi. A Onna hanno mantenuto l’intero paese in un villaggetto nuovo, le persone stanno bene e non spingono tanto per ricostruire le loro case crollate.

Tu hai portato in giro nella zona rossa Barbara Spinelli e Salvatore Settis…

Quando venne Settis, in centro c’era un tale silenzio tombale per cui scrisse del pericolo che L’Aquila diventasse una nuova Pompei. Fece scalpore e paura quell’immagine di rovina, senza speranza. Barbara Spinelli ovviamente parlò male delle New Town di Berlusconi, scioccanti davvero in quanto sono per lo più agglomerati, anche grandi, senza servizi – eravamo stati in quella di Bazzano. Poi stroncò anche l’Auditorium di Renzo Piano scatenando l’inferno tra Piano e lei, e Piano e me, avendomi direttamente citato nel suo articolo.

Qual era il soggetto del reato?

L’Auditorium è una costruzione splendida con un’acustica perfetta, come solo Renzo Piano sa fare, però è piccolo e situato in un parco pubblico, due peccati mortali: bastava spostarsi un paio di centinaia di metri, farlo grande il doppio e l’Aquila avrebbe avuto un auditorium come meriterebbe, data l’attività culturale musicale molto importante. Però “a caval donato non si guarda in bocca”, e quest’auditorium è fonte di grandi spese, tutto riscaldato elettricamente, senza pannelli fotovoltaici, e perché ogni spettacolo va replicato almeno tre volte avendo la Baratelli, società che lo gestisce, seicento abbonati e l’auditorium 230 posti. Le motivazioni di Renzo Piano sono che è nel cuore della città e che – ma questa è una balla che usa dire alla sovrintendenza – è un edificio smontabile. Ipocrisia tipicamente italiana perché per smontarlo e ricostruirlo altrove ci vogliono altrettanti soldi (6 milioni di euro). Comunque l’auditorium sta diventando un centro di aggregazione per tante manifestazioni, non solo musicali e dunque, per fortuna, c’è!

Tu ti occupi da tanti anni di edilizia ad alta efficienza energetica.

A L’Aquila c’è l’obbligo di rispettare la legge a riguardo del contenimento delle spese energetiche. Nei ventidue interventi portati a termine finora, ho sempre fatto dei cappotti (isolamento termico) per contenere il consumo energetico. Ciò è semplice per le case fuori dal centro storico, dove invece non è semplice farli, almeno dove le strade sono larghe due metri e mezzo e se da ogni lato ognuno si prende 10 cm in più, la strada si restringe. Faremo salti mortali per riuscire a farle a consumo ridotto e ci impegneremo al massimo. Dal punto di vista professionale gli stimoli sono molto più soddisfacenti rispetto alle cose normali che si fanno nelle città non colpite da terremoto: si imparano tecnologie nuove, si impara a lavorare con la pietra, una pietra informe, non squadrata come in Toscana o in Umbria, e alla mia età (ho oltre sessant’anni!) non avrei mai pensato di apprendere tanto. Il terremoto per assurdo mi ha aiutato, ho ritrovato le mie radici, e parenti che non sapevo di avere, di cui mi aveva spesso parlato mio padre: quelle relative a Fra Giuseppe Eusanio di Prata d’Ansidonia (un vescovo agostiniano sepolto a Roma nella Chiesa di Sant’Agostino, ndr), da cui in qualche modo discendiamo.

Tu sei un pioniere della casa di legno in Italia, ne hai fatto una a Bologna nel centro storico e da fuori non si distingue dalle altre.

Sì, otto anni fa. Era divertente, perché dovevo risolvere problemi di cantiere: per farne uno tradizionale avrei dovuto spostare delle famiglie – che già mi avevano fatto causa – in albergo per alcuni mesi. Per cui ho pensato alle costruzioni in legno, molto leggere e prefabbricate nelle forme desiderate, anche molto moderne: una casa in legno non si costruisce ma si monta, non ci sono muratori ma montatori. Il tutto avviene a secco, senza uso di acqua e di tracce nei muri per gli impianti: tutto viene stabilito nel progetto esecutivo e realizzato nella fabbrica. La mia casa come involucro è stata montata in sette giorni, alta due piani sopra al piano terra in muratura esistente, piuttosto piccola, e il nostro quartiere, pieno di osterie e ristoranti, non ha risentito minimamente dell’impatto del cantiere, perché di sera non esisteva. Nessuno si è lamentato di un cantiere che non c’era! È stata un’esperienza straordinaria che rifarei volentieri, tenendo conto dell’evoluzione in questo settore.