Quando alle sei e trenta della sera la scalinata di San Bernardino si riempie all’inverosimile – e non è ancora l’evento clou conclusivo – per il concerto del Paolo Fresu Quintet, donando un suggestivo colpo d’occhio sulla Basilica simbolo della città terremotata riaperta il 2 maggio scorso, dopo sei anni di delicati restauri, i reporter aquilani emettono la sentenza: «Era dalla Perdonanza del 2005 che L’Aquila non vedeva così tanta gente nelle strade».

Per oltre dodici ore l’anima artistica del capoluogo abruzzese è tornata a spiegare le proprie ali, più viva che mai, con fiumi di turisti e aquilani (60 mila, secondo gli organizzatori) in moto tra i palazzi restaurati del centro storico che riscaldano il cuore e ravvivano la speranza, e sulle viuzze dove il tempo è ancora fermo al 6 aprile 2009. Ad ascoltare i quasi 600 musicisti, dalle star ai collettivi “off”, impegnati a titolo gratuito in oltre cento concerti disseminati in 18 angoli suggestivi della città, perfino dentro due chiese aperte alla nuova esperienza per volontà del vicariato che all’ultimo momento ha cambiato idea e ha revocato il “niet”.

La lunga maratona de «Il jazz italiano per L’Aquila» voluta con lungimiranza dal ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, è servita per riaccendere i riflettori sulla ricostruzione ancora molto indietro di un capoluogo che Silvio Berlusconi avrebbe voluto trasformare in una novella Pompei attorniata dalle 19 new town su cui sono stati sperperati tutti i fondi iniziali, progetto sventato solo dalla caparbietà dei suoi abitanti che l’hanno rivoluta «dov’era e com’era». Ma, come ha detto il direttore artistico dell’evento Paolo Fresu, questa “Woodstock italiana del jazz” è servita soprattutto per «suggerire la ricostruzione». Di una città che da sempre vive di arte e cultura.

È raggiante, il ministro Franceschini, tanto che a sera annuncia via twitter, a beneficio delle dirette radiofoniche di una Rai in pieno servizio pubblico: «L’Aquila piena di jazz e di vita. Riporteremo la musica nelle vie del centro storico ogni anno, la prima domenica di settembre #Jazz4LAquila».

«È già fissata la prima data del nuovo festival, il più grande d’Italia nel suo genere: l’appuntamento è per il 4 settembre 2016», gli fa eco il sindaco Massimo Cialente, stesso Pd, che con qualche dissonanza rispetto alla magica atmosfera musicale coglie l’occasione del concerto finale di Piazza Duomo per un anticipo di campagna elettorale (la sua maggioranza è a rischio, in queste ultime settimane, con Rifondazione comunista fortemente schierata contro il progetto di nuovi impianti e infrastrutture nel Parco nazionale del Gran Sasso), promettendo di ricostruire il centro storico «entro il 2017» e dimenticando stavolta che non tutto dipende da lui.

Infatti, come spiega il consigliere comunale Prc, Enrico Perilli, «mancando una legge sulla ricostruzione, il finanziamento delle opere non può essere continuo perché dipende di anno in anno da quanto stabilito in finanziaria e dalle delibere Cipe». Basta fare un giro nelle frazioni del “cratere sismico” per capire che lì – tranne Onna, ma in questo caso bisogna ringraziare dell’aiuto il governo tedesco – è tutto fermo a sei anni fa.

La ricostruzione però non è solo una questione edilizia. Paesaggio, ambiente e cultura sono fondamentali per lo sviluppo di questa città che ha rischiato di svuotarsi completamente prima che arrivasse l’allora ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca a praticare, con una relazione che riorganizzava le idee e alzava lo sguardo su un nuovo orizzonte, un’iniezione soprattutto di fiducia in una popolazione profondamente demoralizzata. Per questo l’iniziativa di Franceschini ha restituito per un giorno il sorriso agli aquilani, un po’ increduli fino all’ultimo momento, tanto che i commercianti delle bancarelle e dei pochi negozi riaperti in centro non si erano organizzati abbastanza: lunghe file ai bar e alle botteghe per procurarsi del cibo, e banchi vuoti ben prima di sera.

Ma non è un aiuto a senso unico, quello tra il mondo del jazz nostrano e L’Aquila, sede storica di uno dei più prestigiosi conservatori statali d’Italia: «Abbiamo pacificamente invaso una città che oggi è viva – ha commentato Paolo Fresu – Un’occasione per riflettere anche sullo stato della nostra musica».