L’ex ministro dei beni culturali Franceschini ha dato alla Fondazione Maxxi – che a Roma gestisce il Museo nazionale delle arti del XXI secolo progettato da Zaha Hadid – l’incarico di aprire a L’Aquila una sede decentrata nel settecentesco Palazzo Ardinghelli, a suo tempo acquistato per la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici.
Un’operazione politica che lascia sullo sfondo le vere esigenze di rinascita culturale della città, devastata dal terremoto del 6 aprile 2009. Innanzitutto, lo fa ignorando i disagi logistici degli uffici periferici del ministero per il protrarsi dei lavori di recupero degli edifici pubblici che si completeranno non prima del 2025. Palazzo Ardinghelli (oltre 1.600mq), ricostruito e ormai agibile grazie al contributo di 7,2 milioni di euro donato alla città dalla Federazione russa, viene assegnato per vent’anni al Maxxi, mentre Archivio, Soprintendenza unica, Segretariato regionale per l’Abruzzo sono ristretti in locali privati per i quali lo Stato paga un canone. E il Museo nazionale (Munda), evacuato dal Castello Spagnolo, è ora negli esigui spazi dell’ex mattatoio comunale, esponendo solo il 10% delle sue opere.

Deciso a tavolino, privo di analisi costi, benefici sociali e culturali, il progetto Maxxi-L’Aquila rischia di non giovare a nessuno dei due. Finora ha potuto procedere senza intralci burocratici grazie alla natura privatistica della Fondazione Maxxi e alla disponibilità del suo presidente a firmare con il ministero un Protocollo d’intesa che prevede però rilevanti obblighi organizzativi e gestionali a carico dell’intera struttura museale, distraendola di fatto dai compiti istituzionali romani.

Siamo sicuri che nella fase di progressiva ricostruzione di una città spopolata dal terremoto per ricaricare le sue energie creative sia indispensabile la presenza di un ente di recente istituzione con una controversa esperienza gestionale alle spalle (commissariata per squilibri di bilancio nel 2012) e un decollo tutto da consolidare? Il Maxxi dichiara 429mila visitatori nel 2017 ma i biglietti d’ingresso alle sale museali emessi sono appena 183mila (+9%): poco più di un terzo rispetto ai 450mila del 2011, al di sotto dei 208mila ingressi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (+55%) e dei 188mila al Palaexpo (+17%), al di sopra solo di quelli del Macro (141mila).

Siamo sicuri che una soluzione calata dall’alto sia la migliore per rinvigorire una tradizione artistica di alto spessore culturale come quella aquilana, ferita ma tuttora vitale e desiderosa di riassumere il proprio ruolo trainante senza esserne surrettiziamente defraudata? Un’incursione esterna finirebbe per depotenziare gli impulsi innovativi, demotivare la volontà di ripresa delle strutture formative e di produzione artistica locali. Queste, anche se coinvolte nelle attività del Maxxi, sarebbero in posizione subalterna, inevitabilmente schiacciate dall’ingombrante brand, sopraffatte dal culto dell’effimero che caratterizza l’approccio del Maxxi nell’ultimo quinquennio: 114 mostre e 1841 eventi. Per allontanare rischi di «colonialismo culturale», il rilancio del sistema museale ed espositivo dovrebbe ruotare attorno a pilastri autoctoni, riconoscibili.

Accanto al Munda, dovrebbero essere valorizzati l’Accademia di belle arti, istituita nel 1969, che ha avuto docenti prestigiosi – Marotta, Spalletti, Bonito Oliva, Ceroli, Cascella -, il Museo sperimentale d’arte contemporanea (Muspac) attivo dal ’93 con una ragguardevole collezione: da Kounellis a De Dominicis, da Ceroli a Mattiacci, da Mauri a Merz, Pistoletto, Mulas, Ravà…
È augurabile che il nuovo ministro dei beni culturali sospenda il Protocollo d’intesa con il Maxxi e valuti l’opportunità di sottoscriverne un altro con le istituzioni e associazioni culturali aquilane più significative, da ospitare a Palazzo Ardinghelli (magari insieme alla Soprintendenza unica con compiti di stimolo e coordinamento), destinando i fondi già stanziati (2 milioni di euro annui dal 2018 al 2024) al sostegno delle loro iniziative creative. La Fondazione Maxxi potrebbe così concentrarsi nel rafforzamento operativo e strategico della sede romana.