«Ci ho messo un anno per tornare in centro, a L’Aquila, nella zona storica: troppo forte era lo strazio. Adesso, ogni volta che vado, mi sento male. Perché non cambia niente. Palazzi diroccati, crolli diffusi, transenne, divieti, i militari, i soliti militari che stazionano con le camionette sugli imbocchi della “zona rossa”, sulle vecchie viuzze a rischio, non messe in sicurezza. La nostra città non c’è. Non c’è più e basta». Marcella Dal Vecchio prima abitava nella frazione di Coppito. La sua casa è stata gravemente lesionata dal terremoto del 6 aprile 2009. Ora sta a «Coppito 3», uno dei rioni “satelliti” spuntati, col progetto Case di Berlusconi, attorno alla città squassata dalle scosse, alla città fantasma.
«Alla fine ti adatti – prosegue – perché così dev’essere. Ma qui dentro, tra pareti di cartongesso, tutte uguali e uguali per tutti e che cominciano ad andare in pezzi, non c’è nulla che ti appartenga. Nulla che ti faccia sentire il calore di un’abitazione vera».

Quattro anni dopo? «Sono depressa, demoralizzata. Il problema è che non cambia alcunché… Ti giri e vedi la devastazione; guardi in su e sbatti in un fabbricato sventrato da cui si affacciano un water e una specchiera che salutano i passanti quattro piani più sotto; cammini e rischi di inciampare nei cumuli di macerie e nella desolazione di una rete che chiude un vicolo distrutto dove, da lontano, ammiri ancora un’automobile semisepolta dai detriti».

La ricostruzione? «Non lo so. Dicono che stia partendo, ma lo dicono da sempre, dal giorno seguente al disastro… Ma troppi soldi sono stati sprecati, troppi… Dai tempi dell’emergenza in poi: la gestione post sisma è stata la peggiore in assoluto che si è avuta in Italia. Un rimpallo continuo di responsabilità, scelte errate e sperperi su sperperi…».

Il disagio è sulle facce, nell’oscurità di piazzette dove, di notte, le luci sono spente da 1.460 giorni; nella rassegnazione che solo a tratti diventa rabbia e «voglia di riacchiappare l’identità perduta».
Il disagio corre sui social network. «La settimana santa ufficiale è finita, ora è iniziata quella privata nostra… – recita un post di Paola Trivelloni su Facebook – . Torneremo (forse) agli onori della cronaca con un bilancio sulla ricostruzione – del tutto fasulla e a uso e consumo della stampa o di quella o quell’altra fazione politica -, alle recriminazioni, alle proteste sconclusionate… E poi? Tutto come al solito…».

Questi sono i giorni dei bilanci, della memoria, delle celebrazioni dei lutti. «È così che va, ovunque, ad ogni ricorrenza, soprattutto in quelle dei cataclismi naturali…», mormora una donna mentre sistema un fascio di fiori e un cero su un muricciolo nei pressi di via Campo di Fossa. Vicino al tronco di un albero ci sono fotografie e messaggi deteriorati dal tempo.

«Che cancella tutto, ma non il nostro dolore, quello ce lo portiamo dentro ed è inarrestabile. Quella tremenda notte ci ha sconvolto e le cicatrici non se ne vanno… Anche perché continuano a mostrarsi ad ogni angolo. Ci guardiamo attorno – aggiunge – e troviamo ovunque puntellamenti. Una marea di strutture puntellate che, di questo passo, non torneranno certo a vivere, non in tempi ragionevoli. Ah, molti puntellamenti, pagati fior di quattrini, stanno cedendo. Usura… Usurati, come noi».

«Avevano detto – afferma Roberto, 47 anni – che sarebbe stato il cantiere più grande d’Europa. Ma quando? Dove? È una realtà svuotata che può contare però su un ginepraio di leggine, provvedimenti, trovate politiche, pastoie burocratiche che si incrociano, si sovrappongono e si smentiscono. I fondi post terremoto? Sbandierati e sconfessati, a ripetizione. Per ciò è quasi tutto stagnante. Diversi imprenditori edili hanno iniziato i lavori e poi sono stati costretti ad abbandonare i cantieri, per mancanza di risorse. Alcuni sono arrivati anche al fallimento. Le impalcature sono rare rispetto alla catastrofe avvenuta. La situazione è drammatica e qui lo Stato è concretamente assente. Non servono le “gite fuori porta” del ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Un ministro dimissionario… Non abbiamo ottenuto niente di quanto chiediamo e abbiamo dovuto sopportare chiacchiere, passerelle elettorali, vigliaccate e promesse vane. Di ogni genere. Ad ogni livello: pensiamo, anche, alle numerose inchieste giudiziarie che ci sono state e che ci sono. Manca una seria programmazione e mancano finanziamenti: sul territorio stanno arrivando le briciole rispetto al necessario. Ogni giorno, poi, – continua – facciamo i conti con una terribile crisi economica e sociale, che morde ed è ancor più drammatica che altrove. Non c’è occupazione. Le attività imprenditoriali non sono riuscite a ripartire. I giovani sono disorientati, stanno perdendo fiducia e speranze».
Uno stallo inquietante, dunque, nessun successo da festeggiare, e a ciò vanno aggiunte le tasse. «Inps, Inail, il Comune… Tutti pretendono denaro – attacca Maria -. L’amministrazione civica, in questi mesi, ha chiesto, agli inquilini del progetto Case, il pagamento di luce, acqua e gas dal 2009 ad oggi. Una salassata. Noi non abbiamo i contatori, non sono stati installati, quindi i consumi effettivi non si conoscono: è stato calcolato un forfait, una stangata. Migliaia di euro, saltati fuori non si sa in che maniera… C’è stata la sollevazione popolare e ci è stato promesso che le somme verranno riviste, ma intanto dobbiamo mettere mano al portafogli. Assurdo».