La sensibilità, nell’accostarsi a un progetto che incide su una natura così potente e incontaminata, dovrebbe essere un obbligo. Se si volesse seguire la lezione di Louis Kahn, potremmo dire che i progetti dovrebbero imparare dai posti con cui si relazionano, dalla magnificenza dell’architettura naturale. Per farlo occorre che ad un molo non lavorino solo ingegneri, ma paesaggisti, professionisti del costruire ecologico; architetti dal pensiero integrato.

IL MOLO PENSATO per l’isola di Santo Stefano, nell’ ambito del “contratto istituzionale di sviluppo per il recupero e la rifunzionalizzazione dell’Ex carcere borbonico”, si candida ad essere un’opera in cui l’uomo si accosta al territorio senza vederlo, applicando uno standard di realizzazione inappropriato per l’approdo a quello che è uno scoglio lanciato nella storia. Si parla di 25 metri di cemento armato, di un’altezza di due, cinque metri fuori dall’acqua. Il progetto, complessivamente, prevede la ristrutturazione della prigione che ha la forma del Panopticon, quella struttura di controllo carcerario che spiega materialmente le fondamentali intuizioni del Foucault di “Sorvegliare e punire”. C’è poi da rendere fruibile anche l’edificio che ospitava i direttori, tra i quali si ricorda Eugenio Perucatti, visionario funzionario di una giustizia che davvero immagina la pena come riaffaccio alla vita e che cambierà le regole penitenziarie per trattare i detenuti come esseri umani bisognosi del nutrimento dell’aria, della cultura, della speranza.

Isola di Santo Stefano, lo Scalo della Marinella foto Giovanni Coppola

CHI HA VISSUTO i riti di questi posti sa che il giorno di Santa Candida, quando settembre riconsegna gli spazi alla loro muta bellezza, tanti abitanti di queste isole partono da Santo Stefano per raggiungere a nuoto il porto romano di Ventotene. Potrebbe essere una metodologia semplice quella di conoscere il territorio su cui si interviene, i suoi riti, i suoi umori. Si arriverebbe con spontaneità a giudicare come inappropriata una lingua di cemento che tagli il mare in comune tra i due approdi, un ponte di acqua miracolosamente selvaggio, lontano dal frastuono insensato e da quel traffico congestionato che fa di molte delle nostre coste estive dei luoghi infernali di motoscafi veloci, di affollamenti e volgarità. Progettare l’approdo di Santo Stefano richiede di avere rispetto dell’atmosfera e dell’incanto che esso regala. Lusso comune.

CONTRO L’IPOTESI di un “approdo pesante” si è intanto costituito il Comitato “Santo Stefano Sostenibile”. Gli animatori hanno letto il poderoso progetto presentato per intero, studiandone impatti e problematiche, coinvolgendo professionisti per redigere le osservazioni che possono essere presentate nella parte del procedimento amministrativo che valuta l’impatto ambientale. Assieme alle loro osservazioni sono state presentate anche quelle del WWF, che pervengono alle medesime conclusioni: nel 2021, quando una pandemia ha spiegato con esattezza che la scelta ecologica è l’unica possibile, non si può immaginare cemento metri di calcestruzzo per un approdo che fa del suo essere incastonato nella roccia, della sua delicata posizione, qualcosa che è parte stessa di una educazione alla bellezza che è la formazione sentimentale a disposizione di tutti, in quel generoso dono di sé che è la natura. Chiedono di comprendere più approfonditamente le motivazioni che hanno portato a scartare le soluzioni leggere, pontili mobili e strutture realizzate con materiali naturali, considerare “in grado di garantire, al contempo, le condizioni di sicurezza necessarie per la fruizione turistica e la piena conservazione del patrimonio ambientale e paesaggistico”. E ricordano che Santo Stefano è il fulcro di due importanti tutele. Per la sua posizione è Area marina protetta, per il suo valore storico è Riserva statale.

IL COMITATO SI DICE dispiaciuto per un procedimento che il commissario Silvia Costa aveva promesso come partecipato. Invece si sono trovati di fronte a una proposta articolata in tre ipotesi, tra le quali viene giudicata la migliore quella descritta (25 metri di cemento per 2,5 metri di altezza dal mare). Chiedono su quali criteri questa ipotesi viene giudicata la migliore; come è possibile definire nullo o assente l’impatto ambientale di blocchi di calcestruzzo su un ecosistema che per le sue caratteristiche di biodiversità è classificato come “riserva naturale”. E ancora: come mai, “attesa l’enorme rilevanza degli obiettivi di conservazione del patrimonio storico e archeologico e considerando la presenza di interventi che obliterano in modo permanente segni pre-esistenti di epoca romana”, non hanno rilevanza gli evidenti impatti del progetto? Il Ministero dei Beni Culturali, lo scorso 22 giugno, ha protocollato un parere inviato al Ministero della Transizione ecologica, nel quale si chiede di verificare la fattibilità di una progettazione meno invasiva, ricalcando le richieste del comitato. E rappresenta che le relazioni paesaggistiche “che sono menzionate nel quadro progettuale risultano annullate dalla sentenza 240 del 2020” (cioè erano già inutilizzabili all’avvio del procedimento relativo alla realizzazione dell’approdo). “La bellezza emerge dalla selezione, dalle affinità, dall’integrazione”, diceva l’architetto americano Louis Kahn che si accostava alla natura con la delicatezza di un fiore.